Mak (Farah Ahmad) vive in una capanna in mezzo alla giungla insieme ai due figli Along (Mhia Farhana) e Angah (Harith Azig), cibandosi degli animali catturati con le trappole che collocano lungo i sentieri fin dentro la foresta. Rimasta senza aiuti e assistenza di nessun tipo dopo essere stata abbandonata dal marito, Mak si è ricavata una vita perfettamente autosufficiente standosene appartata con i due figli ed evitando la gente del villaggio che c’è oltre il fiume. Angah, ancora piccolo e inesperto, ha fiducia in tutto ciò che la natura della giungla è in grado di offrirgli, e non appena vede un cervo morto imprigionato nella trappola vorrebbe portare via l’animale come cibo per sfamarsi almeno una settimana. Along, però, che è più grande di lui e cacciatrice esperta, gli dice che rimuovere il cervo attirerebbe soltanto animali pericolosi come i lupi al loro rifugio. Angah sembra deluso, ma una leggenda narrata successivamente dalla madre conferma i timori della sorella, addirittura aggiungendovi elementi spaventosi: dietro alla sagoma dei cervi, afferma Mak, si dice si nascondano gli spiriti cacciatori, pronti a divorare la carne di tutti gli umani che osano disturbare il loro dominio assoluto nella giungla. Forse è solo una macabra favola della buona notte, che Mak racconta per distrarre se stessa e i figli dalla noia, ma l’arrivo di una bambina silenziosa ed enigmatica (Putri Qaseh) sembra davvero evocare il regno degli spiriti; la sua visita e il suo silenzio s’interrompono improvvisamente quando preannuncia la morte alla famiglia che l’ha accolta, per poi sgozzarsi con le sue stesse mani usando un coltello tenuto gelosamente nascosto.
Questo evento così carico di presagi viene prontamente negato da Mak, che ritiene sia meglio dimenticare quanto accaduto e ripulire la capanna. Ma altre due visite la costringeranno a tornare sui suoi passi: una donna che vive sulla collina e giunta fin lì per raccogliere erbe, Tok (June Lojong), capita per caso davanti alla capanna di Mak e dei suoi due figli. Non dice apertamente di essere una guaritrice, ma la sua conoscenza erboristica e il suo riconoscere i segni maligni presenti nella foresta fanno capire a Mak di poterle chiedere aiuto se dovesse mai averne bisogno, o anche solo per avere un po’ di compagnia, visto che oltre ai due figli non può conversare mai con nessuno e, forse complice la morte a cui appena assistito, la solitudine comincia a pesarle.
La promessa che quest’incontro fortuito sembra recare con sé non riesce a placare però quel vago alone di terrore che si sta impadronendo della mente di Mak e parallelamente del corpo di Along, avviluppando a tratti anche Angah nelle sue peregrinazioni nella foresta, e quando il viandante Pemburu (Namron) giunge davanti alla capanna per far loro domande su una bambina scomparsa, forse il cerchio dell’orrore che ormai attanaglia la famiglia con rimorsi ed incubi potrà finalmente rompersi.
Scritto e diretto dal regista malese Emir Ezwan, Soul (Roh) è sicuramente l’horror più bello fra quelli proposti dal FEFF 22, e a dire il vero uno degli horror più riusciti degli ultimi anni in generale, senza scene a effetto a tutti i costi o crescendo musicali assordanti con fantasmi in agguato dietro l’angolo, che ormai sembrano essere topoi irrinunciabili per chi intende girare un film dell’orrore. Forse Soul non avrà la potente visionarietà di Excision (2012, Richard Bates Jr.) né il piglio divertito di Brightburn (2019, David Yarovesky), ma condivide con entrambi la stessa idea di non voler banalizzare la malvagità e il male né renderli stupidamente inevitabili. Costruito soprattutto su una fotografia cupa che si sofferma spesso sulla giungla ritraendola quasi come un cuore palpitante o sulle sagome umane e animali come ad esaltarne la natura evanescente, fallace ed effimera, il film di Ezwan s’innalza lentamente verso la pienezza dell’orrore attraverso dettagli apparentemente sottotono e cambiamenti repentini lasciati quasi passare inosservati, regalandoci una visione sublime del male nel suo non sapersi arrendere allo svanire del potere e nel suo continuo anelare la gloria delle fiamme.
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