Ha-na (Kim Na-yeon) è una solare bambina di quinta elementare; appassionata di cucina, dedica molto del suo tempo libero a preparare dei piatti per la sua famiglia, anche se sia il padre che la madre sono troppo impegnati a litigare e rinfacciarsi reciprocamente frustrazioni e risentimenti per notare l’amorevolezza della figlia, né il fratello Chan (Ahn Ji-ho) sembra esserle d’aiuto con il suo atteggiamento disinteressato e cinico. Persino quando Ha-na vince un premio come migliore studentessa della classe, i suoi familiari reagiscono con indifferenza, e la sua richiesta di fare una vacanza al mare tutti insieme come sorta di regalo per il premio che ha ricevuto, ma anche come modo per appianare le tensioni sempre presenti fra i genitori e dare finalmente un senso alla parola “casa”, sembra cadere nel vuoto.
Ma la bimba rimane fermamente convinta del suo obiettivo, anche perché a scuola le hanno affidato un progetto speciale da svolgere durante le vacanze estive, e lei ha già deciso di dedicarsi alla stesura di un piccolo libro di cucina: perché allora non riempire il libro con i piatti che preparerà per la gita già programmata? Così, Ha-na decide di andare subito a fare la spesa e, armata di tanto entusiasmo, compra gli ingredienti per i piatti da cucinare e portare in gita e di cui poi scriverà sul quaderno. Una volta giunta al supermercato, Ha-na si ritrova ad incontrare per caso due bambine un po’ più piccole di lei, Yoo-mi (Kim Si-a) e Yoo-jin (Joo Ye-rim), e, altruista per natura, finisce per avvicinarsi a loro e a passare del tempo nella loro casa a cucinare, trasformandosi nella nuova amica del cuore.
Ad accomunare le tre bambine è l’assenza dei genitori; nel caso di Yoo-mi e Yoo-jin, si tratta di un’assenza reale e non soltanto emotiva, visto che la madre e il padre sono costantemente lontani dalla città perché assunti da un cantiere che sta costruendo un albergo in riva al mare. Yoo-mi e Yoo-jin passano dunque tutte le loro giornate interamente da sole, e non hanno altre amiche se non Ha-na, anche perché a causa del lavoro dei genitori sono costrette a trasferirsi continuamente, e l’attuale dimora è già la settima in cui si ritrovano ad abitare. Si sentono sole e trascurate, e benché Ha-na non riveli niente dei propri dissapori con genitori e fratello per un senso di vergogna ̶ in fondo lei non è materialmente sola come loro ̶ ma anche probabilmente per orgoglio, nascondendo dunque una parte della sua vita alle nuove amiche, la sua presenza viene vista come necessaria e quasi salvifica. Soprattutto, la complicità sempre più forte che le lega sembra trasformare davvero quell’idea di casa celata nel cuore di ognuna delle tre, simboleggiata da una costruzione di carta a cui Ha-na stessa contribuisce, in una realtà possibile. Le cose però si complicano quando Yoo-mi e Yoo-jin vengono a sapere dalla padrona di casa che la madre ha deciso di mettere in vendita l’appartamento dove vivono adesso, e benché ce la mettano tutta a boicottare le visite dei probabili acquirenti con la complicità divertita di Ha-na, le cose sembrano volgere al peggio. Ci vorrà una bella dose di coraggio, e un improvvisato viaggio on the road, per riuscire a scoprire come risolvere il problema, o forse ad accettarlo e rimanere unite nonostante tutto, mentre parallelamente Ha-na dovrà capire se accettare la famiglia disfunzionale in cui vive e i relativi problemi che ne conseguiranno o continuare a rifiutarne la vera natura.
Scritto e diretto dalla regista sudcoreana Yoon Ga-eun, The House of Us descrive con toni toccanti e apparentemente semplici il mondo di tre bambine che cercano di dare un senso alla vita a fronte di adulti latitanti o anaffettivi, alleandosi in nome dell’amicizia e dell’affetto e dimostrando come in fondo l’idea di “casa” non sia necessariamente così difficile da costruire e mantenere, se ci si mette un po’ di impegno e di sana testardaggine, anche al di fuori della propria famiglia biologica. Un film apparentemente piccolo, ma con delle grandi protagoniste (segnaliamo Kim Si-a, che nonostante la giovane età si impone già sullo schermo con la sua presenza carismatica), colte in una lotta tenace e a tratti disperata (e non pienamente consapevole, vista l’inevitabile inesperienza che la loro età comporta) contro un mondo adulto fatto di persone che preferiscono ormai cedere alla disillusione e all’inganno piuttosto che impegnarsi ad uscire dai propri meccanismi di difesa (e di offesa). Ma forse l’aspetto più interessante del film è quello di alternare l’esplorazione delle dinamiche familiari e la descrizione degli adulti come personaggi deludenti e a tratti anche vagamente squallidi allo stupore tipico dell’infanzia ̶ non da ultimo, vista in chiave unicamente femminile ̶ di fronte alla scoperta delle cose, quel voler essere speciali e presenti per sé e per gli altri e abbracciare tutto e tutti che nessun’altra fase della vita riesce a conservare facendone tesoro, l’adolescenza chiudendosi nello spleen solitario e sprezzante, l’età adulta ripiegando sull’(auto)denigrazione e sulla disillusione.
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