Un po’ Il mucchio selvaggio, un po’ L’Attimo fuggente. Del (dal) primo il why not? e via verso il massacro con l’incoscienza di chi: "non ha nulla da perdere perché non hai avuto qualcosa che potesse essere perduto", "si sente invulnerabile", "ha un codice d’onore dentro di sé da far paura"; del (dal) secondo l’adolescenza come guscio semitrasparente dove la luce fa fatica ad arrivare così chi vi abita ha un’idea del tutto personale sul mondo che è tutt’attorno, guscio nel quale la vita non è poi così male anche perché non a tutti è dato un fisico bestiale per resistere agli urti della vita, e allora lì dentro, nel Tempio, i cinque dandies della storia, Dick, Susan, Stevie, Huey, Freddie, e Sebastian, non si sentono troppo soli. A far loro da compagnia è il pacifismo, le pistole che hanno i nomi di persone, la Wendy del titolo ad esempio (come i marines di FMJ che ribattezzavano i loro fucili con i nomi delle loro fidanzate), i proiettili che fischiano, prima verso il bersaglio di cartone, poi…, poi si vedrà…

Dal semiserio al serio: la coppia Lars Von Trier-Thomas Vinterberg pigia l’acceleratore che sulla dimensione che dopo l’11 settembre pare essere diventato il biglietto da visita degli iùesei, cioè la paranoia che non può finire senza aver prima colorato il mondo a tinte fosche, paranoia immortalata, forse ancor meglio di stavolta, anche da Wim Wenders in La terra dell’abbondanza.

Stavolta la paranoia aleggia a Estherslope, cittadina mineraria sprofondata da qualche parte del Sud (presunto) dell’america dove lo svago è zero e la noia tanta, e dove, se al pacifismo spetta il ruolo di teoria, alle armi compete la prassi, sempre più allucinante, sempre più concreta e sanguinaria (ma si sa che le provocazioni stanno a Lars Von Trier come il cinema a Buster Keaton).

 

Un sacco di polemiche hanno accompagnato Dear Wendy, magari per via del peccato di lesa maestà nei riguardi del pacifismo che con le armi non vuole avere nulla a che fare e che invece qua ci si trova a braccetto, o forse per via radicale pessimismo che vi si respira (confrontare Dear Wendy con Battle Royale).

 

Al di là di tutto, e quindi anche al di là di un certo manicheismo di fondo, va riconosciuto a Dear Wendy la capacità di scuotere per la sua crudezza che non è soltanto quella dei proiettili che penetrano, straziandole, le carni (strada già tentata qualche anno fa da Three Kings ma in misura minore), ma anche per come dipinge una generazione X forte, anzi fortissima, quando si confronta con se stessa, ma debole quando deve fare i conti con il resto del mondo.