Da pochi giorni in distribuzione, il volume Biagio Proietti, un visionario felice per i tipi di Edizioni Il Foglio, si presenta come un ponderoso volume curato da Mario Gerosa con interventi del sottoscritto, di Andrea Carlo Cappi ed Enrico Luceri.
È, tuttavia, anche un volume in cui Biagio interviene massicciamente con scritti e ricordi e una copiosissima appendice iconografica.
Mi piace, dopo tanti anni di amicizia, scambiare qualche parola proprio con Biagio a proposito del suo lavoro oltre che del libro in sé.
SDM Caro Biagio, finalmente abbiamo qui, bello stampato un volume che è al tempo stesso un tributo doveroso al tuo percorso professionale ma anche una raccolta di esperienze e personaggi della carriera di un narratore che ha spaziato tra radio, televisione, romanzi e cinema senza negarsi nulla. Di prammatica una domanda: in retrospettiva come giudichi la tua carriera?
BP- Solo gli sciocchi sono sempre soddisfatti, penso di aver fatto molto e ottenuto molto, se avessi avuto un pizzico di coraggio e anche di presunzione in più avrei fatto il film con Sergio Leone come produttore, invece mi sono fatto prendere dalla paura e nessun soggetto mi sembrava buono. Tranne questo rimpianto, di cui parlo nel libro con il dovuto spazio, sono felice di quanto ho fatto e di aver tanti amici che io stimo, e quindi mi piace che anche loro mi stimino. Una valzer di reciproca stima.
SDM Ma tu lo immaginavi da ragazzino che avresti fatto questo mestiere?
BP – Lo sognavo, io ricordo bene la mia infanzia abbastanza felice, dove suonavo la fisarmonica e mi esibivo in pubblico anche se non ero molto bravo, almeno così mi ricordo, e poi scatenavo la mia fantasia inventando storie. Ricordo che essendo cicciottello e anche sfottuto per questo, quando nei giardini pubblici facevamo la solita banda di cow boys contro gli indiani cattivi, io finivo sempre in fondo al gruppo, essendo più lento ma protestavo, pretendendo di stare in testa perché mi ero autoeletto come il capo, in quanto le storie le inventavo io. Da lì ho capito che con l’Intelligenza e la fantasia puoi fregare quelli che hanno solo forza fisica. E poi qualcuno della mia famiglia ricorda che facevo le radiocronache di partite di calcio immaginarie anche se protagonisti erano sempre quelli del magico Torino che ho avuto il piacere di vedere a otto-nove anni allo stadio Flaminio contro la Roma dove i tifosi volevano picchiarmi perché facevo il tifo per il Torino, doveva essere il 1948 poco prima della disgrazia del 49, i pianti che mi sono fatto…
SDM Se si guarda la tua opera nel complesso si nota che alcuni generi sono più presenti di altri. Il Giallo per esempio è forse uno di quelli che più ti caratterizzano. Una scelta imposta dalle produzioni o una predilezione tua?
BP – Decisamente una predilezione mia, io ringrazio che negli anni cinquanta, prima dell’avvento della televisione che in Italia cominciò nel 1954 ma mio padre comprò il televisore l’anno dopo o nel 56 (ricordo che la prima sera che avevamo l’apparecchio in casa in Rai ci fu uno sciopero e mandarono in onda sull’unico canale la replica registrata de La Traviata con Rossana Carteri ) i miei genitori mi portavano sempre al cinema, mio padre amava Totò , mia madre i film sentimentali e canori, io riuscivo a inserire le mie scelte con i film avventurosi, protagonista Errol Flynn (il mitico Captain Blood), o i noir con Humphrey Bogart, mio idolo sin da bambino. Alla radio, da maniaco frequentatore di radiodramma e sceneggiati, i miei preferiti erano i gialli italiani con il barbone Sei Soldi di Giuseppe Ciabattini interpretato da Elio Iotta (ovviamente non mi sono privato del piacere di farlo lavorare nelle versione radiofonica de Il lungo addio di Raymond Chandller ) e i gialli sull’investigatore Simon Templar scritti da Durbridge e diretti da Umberto Benedetto, però, a dire la verità, non sono mai stato amante del giallo classico inglese, anche allora ero un lettore abbonato de I gialli Mondadori che mi permette di avere una buona libreria di vecchi numeri, però da giovane il miei idoli erano Chandler e gli altri americani che ogni tanto la collana pubblicava, ma il preferito assoluto era diventato il cinema nero americano e aspetto con ansia di leggere il libro che hai scritto tu .…molti di quei film li ho in dvd.
SDM – Parliamo delle tue storie d’intrigo. In quelle totalmente originali si nota una cura particolare per i sentimenti, le zone oscure dell’animo, in quelli ispirati a lavori già preesistenti (intendo per esempio i teleplay di Durbridge) prevale l’intreccio, la ricerca del colpevole, ma senza mai scordare il tuo marchio di fabbrica, se così si piò dire. Parlo dell’attenzione alla psicologia. Una caratteristica che, penso, sia stata molto apprezzata dal pubblico televisivo italiano. Cosa ne pensi?
B.P. – per me lavorare sulle tre serie delle tante che Durbridge scriveva per la BBC ( ripeto, non erano romanzi) è stato importante perché mi ha insegnato due cose: il successo che le sue storie avevano era determinato proprio dall’intrigo, anche perché lui scriveva puntate di 20 minuti e tutto l’intreccio si basava su: avviene un delitto, poi un altro, poi un altro –quasi uno a puntata- alla fine l’interesse si concentra tutto su chi è il colpevole; tutto il lavoro mio era teso non a cambiare l’intreccio ma a dare polpa ai personaggi che nei suoi testi erano quasi degli schemi, dei manichini poco interessanti, quindi io avevo la libertà di farlo, dovendo aumentare dai minutaggi inglesi di quasi mezz’ora a quelli italiani di 1 h a puntata, perciò creavo personaggi molto diversi e molto più consistenti. Questo lavoro mi è servito anche per le storie che scrivevo originali, totalmente mie, dove spesso il nocciolo del plot era proprio la psicologia dei personaggi, spesso molto misteriosi e ambigui. Ma sempre molto reali oltre che complessi, di sicuro affascinanti nel bene e nel male: l’interesse era nel raccontare la loro storia ma il tutto veniva inquadrato entro un intreccio che acchiappasse il pubblico e lo portasse sino alla fine, pensiamo ai 28 milioni di persone che hanno visto l’ultima puntata di Dov’è Anna? e i titoli dei giornali che in prima pagina annunciavano la fine di un giallo, come se fosse un fatto di cronaca reale. Ovviamente io preferisco il mio stile ma riconosco a Durbridge la bravura di creare interrogativi anche se spesso rispondevano a degli schemi precisi, come il colpevole era sempre quello che aveva un ruolo sociale minore, in un caso il venditore di cravatte era alla fine una spia internazionale. Ricordo che gli diedi un ruolo sociale maggiore, altrimenti come si dice si sarebbe sgamato.
SDM. Cinema, televisione, radio. Quali le differenze e quali le difficoltà ad adattarsi a questi media che sembrano simili ma utilizzano linguaggi molto specifici.
B.P – Lo scopo di quello che fai è sempre uno e sempre lo stesso: raccontare una storia e fare in modo che il pubblico si appassioni. Le differenze sono nel linguaggio, anche se a mio avviso fra cinema e televisione sono più nel modo come il pubblico usufruisce dello spettacolo, cioè voglio dire che la differenza è più fra la sala cinematografica e la casa dove abitualmente vedevi la televisione, una volta si sarebbe detto fra lo schermo grande e quello piccolo. Dico questo perché adesso, a mio avviso, le differenze sono annullate dal fatto che il cinema si vede soprattutto in casa e la tv dovunque, attraverso jpad, telefonini e computer, e con Rai Play quando e come vuoi. Per la radio la differenza più consistente è che non hai l’immagine a disposizione ma io ricordo che quando facevo la prosa in Radio RAI scrivevo le storie come se fossero da vedere, nel senso che attraverso i suoni – parole musica effetti – si poteva creare nel pubblico la sensazione di vedere, oltre che di sentire, cosa stava accadendo. Credo che lo stesso si possa fare anche in letteratura: scrivere facendo in modo che la parola diventi un mezzo per portare te lettore all’interno di una scena, quasi fosse un film.
SDM. Com’era l’ambiente delle produzioni negli anni 70 e adesso?
B. P.- era diverso il modo di lavorare soprattutto all’inizio dal progetto, il lavoro degli autori era più individuale o con coppie tradizionali di lavoro che proponevano una , un progetto, un soggetto o un libro da sceneggiare, la struttura, se accettava il progetto, affidava la sceneggiatura a chi l’aveva proposta a volte affiancandogli uno o due autori, adesso da quello che ho capito, perché io non lavoro più per la tv e da quello che mi è capitato dieci anni fa, si fanno gruppi di persone che inventano un progetto o soggetto di serie come si chiama adesso, poi si scrivono i soggetti degli episodi con la partecipazione anche di altri autori e infine la sceneggiatura, anche può entrare altra gente. Un lavoro corale con la partecipazione anche di editor e anche, come mi è capitato, di esperti di audience che ti consigliano se e in quale punto mettere un bambino, che fa sempre audience, o ti suggeriscono altre storie, divertenti o strappalacrime. Se io penso ai miei tempi dove i lavoro erano sempre firmati da me o in coppia e noi eravamo quelli che created, quelli che written e anche quelli che supervisionavano, adesso ci vogliono tre o quattro cartelli per indicare gli autori e spesso sono scritti anche con caratteri piccoli.
SDM Con quali registi ti sei trovato meglio a lavorare e perché?
B.P – il regista con cui mi sono trovato meglio sono stato io, quando ho cominciato a realizzare quello che scrivevo, ma non ero tenero, spesso sono intervenuto sul testo, Quello con cui sono andato d’accordo è stato Daniele D’Anza anche perché esisteva un rapporto di scrittura insieme, e quando facevamo i copioni io ero autorizzato, anzi richiesto, di mettere dentro anche idee di regia. Con lui ho lavorato dal 1967 al 1984 anno in cui purtroppo è morto e ne ho un ricordo tale che con Mario Gerosa ho scritto un libro su di lui, non solo raccontando i nostri dietro le quinte ma analizzando criticamente le opere che non mi riguardavano come scrittore, un uomo eccezionale con il quale era bello lavorare. Però io mi sono trovato bene anche con gli altri perché mettevo subito le carte in tavola: il regista veniva scelto a copioni finiti e io trovavo giusto che ognuno di loro avvertisse il bisogno di adattare il copione a se stesso, io ero pronto a farlo con loro ma i cambi li scrivevo io se li accettavo. Il principio era uno e inossidabile: il testo era mio e solo io potevo metterci le mani, anche se ero pronto ad accettare suggerimenti validi.
SDM con Un uomo curioso hai raggiunto (secondo me) uno dei risultati più brillanti della tua carriera adattando un racconto di Piero Chiara che, sempre secondo me, è diventato il modello di Giallo Italiano. Vuoi raccontarci qualcosa in proposito?
B.P nel libro ho inserito anche una recensione di Morando Morandini che parla benissimo del lavoro ma attribuisce il merito a Piero Chiara, io ho raccontato la mia versione che è questa: Un uomo curioso nasce da un racconto di Piero Chiara L’uovo al cianuro che è lo spunto di partenza poi io mi sono inventato il personaggio di Moriondo che torna a Luino e si trova coinvolto ina una storia piena di drammi e di angoscia che riguardano anche la sua vita passata. Io ho scritto il soggetto e la sceneggiatura da solo, però amando molto Piero Chiara, come scrittore, e avendolo conosciuto quando ero giovane e avevo curato la regia di un incontro con lo scrittore a Luino, girando nella sua casa l’intervista di Maurizio Costanzo, riprendendolo mentre passeggiava nelle strade del paese, mentre parlava con le persone che avevano ispirato i suoi personaggi. Per concludere, era venuta fuori una bellissima sceneggiatura che io, di mia iniziativa, mandai a Chiara per avere la sua approvazione, la lettera di risposta era non solo entusiastica ma lui mi chiedeva se poteva essere nei titoli idi testa con la qualifica collaborazione alla sceneggiatura. E che facevo, gli dicevo di no? è una cosa di cui mi sono vantato e mi vanterò per tutta la vita: aver scritto una storia attingendo al mondo di un autore talmente bene che lui vorrebbe aver partecipato al lavoro fatto anche se non lo ha fatto. Ovviamente Morandini questo non lo sapeva e ha scritto che la storia è bella perché l’aveva scritta Piero Chiara. A parte questo, sono d’accordo con te, forse è uno dei più belli gialli italiani perché ha atmosfere tipiche di una nostra realtà, così come in cinema, se mi permetti, La morte risale a ieri sera nel tradurre in immagini un bellissimo romanzo di Scerbanenco è quello che più di altri fa rivivere gli umori le atmosfere di una città come Milano e di un grande autore come lui.
SDM Come è avvenuto, nel corso degli anni, il passaggio dalla sceneggiatura al romanzo?
BP. Chi leggeva le mie sceneggiature apprezzava che erano scritte bene, che c’era uno stile di scrittura che rendeva piacevole la lettura, quando Dov’è Anna? ha avuto successo mi è venuto quasi naturale scriverlo in forma di romanzo e farlo pubblicare da un grosso editore. Ed è stato entusiasmante quando, molti anni dopo, un editore mi ha chiesto di ripubblicarlo, ho potuto lavorare sulla edizione del romanzo lasciando più o meno intatta la trama, l’ambientazione scenografia, una Roma quasi magica, e anche l’epoca dove si sviluppa, ovvero gli anni settanta. Il grosso lavoro è stato fatto sullo stile, sul linguaggio rendendolo sempre più scarno e incisivo. Poi , quando ho capito che in tv non mi chiamavano più, ma era sempre alta la marea di storie che per fortuna invadevano la mia testa ho cominciato a scriverle in forma di romanzo, scoprendo l’immenso piacere che quanto scrivevi non doveva passate attraverso le mani di un regista che poteva anche modificarla o comunque doveva interpretarla, nel senso che quello che scrivi arriva al lettore senza mediazioni. E adesso continuo anche per il piacere di scrivere che non smette mai di esistere.
SDM Il tuo rapporto con la narrativa fantastica. Mi riferisco soprattutto a Poe.
B.P- Ho conosciuto Poe per merito della radio perché negli anni 50 quando avevo 12- 13 anni trasmettevano la domenica notte se non sbaglio erano le dieci o le undici di sera i racconti recitati da Ubaldo Lay una delle voci più belle della radio e ancora non legato alla figura del tenente Sheridan, per me sua fortuna ma anche sua disgrazia, a radio era messa sul davanzale della casa di mio nonno in campagna, noi eravamo nel giardino molto poco illuminato perché essendo tutto sull’appia antica non c’era illuminazione stradale, la luce era possibile solo dentro le case, io al buio fu subito caricato su Il vascello cofanista e da lì non sono più sceso . E in nome di poe ho scritto cose che per me sono bellissime Racconti Fantastici per la TV, Black Qat per il cinema diretto dal grande Lucio Fulci, e una commedia teatrale dove racconto l’ultimo giorno di vita del grande scrittore che è morto disperatamente solo ma in compagni dei suoi personaggi e dei sui incubi. Una grande soddisfazione e averlo fatto conoscere come scrittore a un pubblico che altrimenti non lo avrebbe conosciuto,
SDM Il Sentimento questo sconosciuto. Fotoromanzi e cinema. Come hai affrontato questo intricato complesso di emozioni nelle storie dove non c’è il delitto?
B.P la presenza di un delitto non comporta l’eliminazione dei sentimenti dalle storie che racconti, basti pensare a Ho incontrato un’ombra che a mio avviso è una dei più belli sceneggiati che racconta dell’amore, ovvero dei tanti amori che puoi vivere contemporaneamente a livelli diversi. Anche Dov’è Anna? e una terribile storia d’amore di un uomo che brucia la sua esistenza alla ricerca dell’unica donna della sua vita, che resterà tale anche dopo il tragico finale. Per risponderti cito due opere mie meno note ma significative per questa domanda: UNO + UNO è una serie che rientra nelle cosiddette sitcom ma, nella sua leggerezza e frivola benevolenza, può essere considerata la cronaca di un rapporto di coppia, di un matrimonio, e mi dispiace che per colpa di una cattiva programmazione non abbia avuto il successo che meritava anche per la bravura dei due attori Orazio Orlando e Ivana Monti. Poi Incontrarsi e dirsi addio che ho scritto con un altro dinosauro della scrittura come Gianfranco Calligarich, di cui ricordiamo fra gli altri Ritratto di donna velata, è un romanzo famoso negli anni trenta che noi abbiamo spostato di epoca in avanti, durante la seconda guerra mondiale, dove gli amori e le storie di tanti personaggi vengono visti nella cornice della guerra m diventano in fondo piccole rispetto alla tragedia collettiva. Spero che un giorno si riconsideri questo lavoro che ha soltanto il difetto di non essere stato realizzato secondo le intenzioni di c hi lo ha scritto, banalizzando un po’ tutto, levandogli l’aspetto di amore folle che doveva avere.
SDM. Chi era il tuo pubblico? Nelle riproposte dei tuoi lavori ritieni di catturare la stessa fascia di spettatori anche oggi?
B. P- Quando mettono in vendita online o in edicola di dvd con le storie scritte in quel periodo spesso sono i miei lavori a vendere di più e questo significa che il pubblico ancora sceglie e ti ama, soprattutto quelli giovani che non ti conoscevano, ma sono coinvolti nelle tue storie e sentono il bisogno di scriverti. Quindi presumo che il rapporto d0interesse sia rimasto di fondo lo stesso, io in realtà credo che la televisione sia cambiata molto come funzione perché adesso te la cedi come e quando vuoi, cioè è finito il rito collettivo di tutti insieme appassionatamente a vedere la stessa cosa ma poi ricordiamoci che quello che conta di più è la storia: se la storia ti acchiappa, il più del lavoro è fatto.
SDM Veniamo a qualche…Domanda bruciante…come diceva quel vecchio programma tv che si chiama Chi sa chi lo sa? Cosa è cambiato nel tuo lavoro di autore dagli anni 70 a oggi. Cose belle e cose brutte…
B.P- cominciamo dalle cose brutte: la televisione da molti anni non me la fanno fare più, perché mi considerano uno della vecchia televisione. Gli americani che di questo se ne fregano hanno cambiato in modo totale il loro modo di fare fiction passando dalle lunghissime serie di episodi a quello che noi consideriamo la struttura di un romanzo sceneggiato in tante puntate. Quando vedo i loro classici di oggi da House of card al Il trono di spade a quelli sulle passioni, io ci sento tanta Italia dentro dagli sceneggiati di Majano a quelli di D’Anza, in particolare quelli scritto con me. Mentre loro studiavano e poi producevano, noi abbiamo copiato il vecchio modello di serialità che ormai più che superato è limitato: se vuoi andare oltre ci riesci di più con storie consistenti che possono durare anche anni e che oltre tutto non hanno, per gli americani i limiti della scabrosità dell’argomento. In USA si affronta la storia di un presidente che è il massimo della corruzione e della spregiudicatezza, se si parla di amore si parla anche di sesso, si va fino in fondo su tutti gli argomenti senza paura né limiti. E con i tanti mezzi economici che hanno a disposizione significa ka possibilità di impiegare attori eccezionali, di avere ricostruzioni scenografiche sfarzose, e soprattutto di avere una cura quasi maniacale nella preparazione dello script.
SDM Rivedendo il tuo percorso professionale cosa consiglieresti a un giovane che muove i primi passi armato di molta passione e poche ‘conoscenze’?
B.P – anche quando ho insegnato scrittura per la televisione, con il grande Age che alla stessa classe insegnava scrittura per il cinema, davo solo questo tipo di consigli: scrivete, fate passare giorni, rileggete dimenticando che lo avete scritto voi, se non vi piace buttatelo e ricominciate da capo, se vi piace pensate che sia sempre possibile anzi necessario migliorarlo. Davo anche un consiglio gratis: di leggere le battute di un dialogo a voce alta quasi recitandole perché le parole di un dialogo devono uscire nell’aria per far capire se reggono all’urto del vento o se è meglio cancellarle. Le parole di un dialogo hanno vita quando l’attore le dice come sue e, a volte, sentendole ti rendi conto che nessuno potrebbe parlare in quel modo senza meritarsi un lancio di uova e di pomodori. Ma io penso che si possono insegnare solo i trucchi del mestiere, se sai scrivere non lo puoi imparare, come dice qualcuno the knack o ce l’hai o non ce l’hai.
SDM Facciamo un po’ di gossip. Nei tuoi lavori compaiono donne bellissime. Molte le hai conosciute dal vivo. Ce n’è qualcuna che ricordi particolarmente per bravura e bellezza? Lo sai quali sono le mie preferite…
BP. Veramente non me le ricordo anche perché mi pare che ti piacessero tutte, la distinzione va fatta fra l’epoca che scrivevo le storie e quando poi le dirigevo anche. Nella prima fase conoscevo gli attori solo nel momento della lettura e poi li rivedevo alle prime che allora erano eventi mondani con cene luculliane offerte da Mamma RAI. Nella seconda fase era diverso perché con gli attori io ci vivevo, per il periodo delle riprese e di solito i miei rapporti sono stati ottimi sia dal punto di vista professionale che amichevole. Comunque ricordo sempre con molto affetto Ivana Monti, Anna Galiena, Paola Onofri, Olga Karlatos, una giovanissima Elena sofia Ricci. Il resto è silenzio diceva l’immenso Shakespeare e non puoi contraddire il grande bardo. Nessuno può farlo.
SDM. Il segreto per scrivere una buona storia.
B.P. Non averlo. Un storia è bella usando ti intriga, ti coinvolge, in alcuni casi ti fa addirittura male scriverla. Facciamo finta che mi hai chiesto quale pregio mi riconosco uno te ne dico uno senza il minimo dubbio: di essere un buon lettore e un ottimo tagliatore, io, di fronte a certe scene scritte da me, partecipo come se le avesse scritte un altro, riesco anche commuovermi o a incazzarmi, ecco forse un altro segreto te l’ho dato: eliminare la barriera fra autore e lettore, se ti piace quello che stai leggendo senza ricordati che l’hai scritto tu, hai un buon metro di giudizio.
SDM Ma il gusto del pubblico è davvero così cambiato oppure ci sono alcuni punti fissi che restano irrinunciabili per conquistarsi il favore della platea?
B.P. . Il gusto del pubblico è sempre quello, la variabilità è determinata da vari fattori: la grandezza numerica del pubblico, la differenza fra i modi di fruizione, nel senso che al cinema o a teatro sei costretto ad uscire per andare quindi fai una scelta più complessa e motivata, anche la radio e la televisione devi sceglierle però è più facile e spesso lo fai anche per caso o per noia a volte hai delle gradevoli sorprese,
SDM Da molti anni ricopri un ruolo importante in SIAE. Ritieni che sia ancora un organismo adeguato per tutelare i diritti degli autori?
B.P. ho appena finito il mio mandato di consigliere di gestione dopo ben cinque anni e io sono molto soddisfatto, credo che la Siae sia l’unico organismo che possa difenderci da prepotenze e vessazioni, mi dispiace che in alcuni settori, la letteratura ad esempio, non ci sia praticamente tutela da parte della SIAE e io leggo contratti, anche di editori importanti, che fanno paura per come comprano tutto da autori che hanno pochi strumenti per difendersi. Io spero che i questo campo ci si rafforzi, e posso ancora partecipare a farlo, anche perché da ora io mi occuperò soprattutto di iniziative culturali, facendo rinascere il museo Burcardo, che è stato sfrattato dal comune di Roma e noi gli stiamo costruendo una nuova casa per fare cose che vi stupiranno. Tanto avremo modo di parlarne perché io, da autore, vorrei coinvolgere sempre gli autori in queste iniziative, la cultura non è solo il nostro pane quotidiano è anche la nostra vita
SDM – Una domanda di rito. Hai un progetto nel cassetto che per varie ragioni non hai mai potuto realizzare o qualcosa che oggi vorresti fare ma i meccanismi di produzione non lo permettono?
B.P al cinema non penso più, ho ritrovato un soggetto molto bello che purtroppo non avevo scritto ai tempi dei miei rapporti con Sergio Leone (a lui sarebbe piaciuto) che molti produttori hanno letto e trovato bellissimo, ma anche molto difficile e costoso, adesso l’ho ripreso e l’ho scritto come romanzo, titolo Come Pesci Rossi, spero di pubblicarlo anche se finora non l’ho mandato a nessuno. Io amo scrivere e quando ho una storia in testa la scrivo, se la pubblicano bene altrimenti ho la fortuna di leggerla io, mi dispiace per gli altri ma come dicono a Roma Ah more’ nun sai che te perdi. E un capitolo di La vita è un paradiso di bugie, la parte scritta da me nel libro, s’intitola
Meglio scrivere romanzi che morire. Più chiaro di così.
Ringrazio Biagio, non solo per la sua disponibilità ma anche per la simpatia, e tutto quello che mi ha insegnato di persona da quando lo conosco (umanamente e professionalmente) ma anche con la semplice visione e re-visione dei suoi lavori. Come sempre l’allievo desideroso di imparare cerca di capire come è fatto il giocattolo, lo guarda e lo smonta. Magari ci aggiunge qualcosa di suo. Ma non è così che si impara questo mestiere?
Stefano Di Marino.
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