Quando un delitto segue l’idea di un romanzo…
Los Angeles. Due sposi: Albert Hime, produttore di filmetti di serie B e Victoria Jason, scrittrice e sceneggiatrice (e pure rompitrice di palle quando parla delle sue storie). Un caffè e chi lo beve, il marito, trovato dalla consorte il mattino successivo steso a terra stecchito nella camera degli ospiti (proprio per il suo compleanno). Avvelenato (fluoruro di sodio), come nel libro “Ina Hart” della medesima mogliera, che serviva da adattamento cinematografico per il primo film di serie A.
In scena il capo della Squadra Omicidi di Los Angeles Richard Tuck, un gigante immancabilmente vestito di marrone, considerato dai colleghi piuttosto “strano”, faccia lunga, abbronzata ed olivastra, rughe ai lati della bocca, lento e di poche parole, riluttante “a compiere un arresto in mancanza di prove certe” che prende appunti attraverso un suo particolare sistema. Insieme a lui E. Byron Froody, ometto grassoccio con andatura da papera, soprannominato “Culo d’Anatra”, collaboratore perfetto che conosce a memoria Sherlock Holmes (ti pareva).
Tre persone sono venute a trovare il defunto. Precisamente Moira Hastings che la moglie non vuole assolutamente nel film “Lei è una brava attrice ma non ha abbastanza esperienza per interpretare Ina.”; poi Bernice Sax, la sua più vecchia e bellissima amica che sta per divorziare; infine il primo marito di Victoria, Sawn Harriss (qualche ricordo sulla loro storia e sul rapporto finito). Naturalmente potrebbe essere stata pure la domestica Hazel a mettere il veleno nello zucchero per il caffè (ecco come è stato ucciso Albert).
Dunque, ricapitolando, cinque possibili assassini: la moglie (maggiore indiziata), l’amica, l’attrice, l’ex marito e la domestica. L’ispettore Tuck li interroga, annota, osserva, riflette, cataloga nel suo taccuino nero con la matita gialla attraverso una sua particolare stenografia. Si apre l’inchiesta e il verdetto della giuria è omicidio a carico di ignoti.
L’autore segue ora Tuck, ora la stessa Victoria con le sue perplessità e paure, innesta piccoli squarci di vita passata e descrizioni efficaci dei luoghi e dei personaggi basati sui loro incasinamenti sentimentali e sulla loro complessa personalità. Colpo finale a sorpresa nel più classico dei classici.
I terribili critici Barzun e Taylor nel loro Catalogue of Crime lo ritenevano “Un romanzo praticamente perfetto per la purezza della messinscena e la godibile prosa.” A me pare dignitoso e di gradevole lettura per lo stile fluido e talora ironico.
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