Un medico, un chirurgo, una psicoterapeuta, ma per noi, soprattutto, una grande scrittrice. Silvana De Mari, casertana di nascita e torinese di adozione, dopo una vita in sala operatoria, fra Italia ed Etiopia, ha compreso l’importanza di curare, oltre al corpo, anche l’anima. Da qui è nato il suo primo romanzo, L’ultimo Elfo, storia commovente e di struggente delicatezza, con una grande forza emotiva che travolge il lettore. Il libro è stato un bestseller internazionale con decine di traduzioni e premi in tutto il mondo e ha segnato l’inizio della carriera di una delle autrici italiane più amate.
Di queste settimane è l’uscita (preceduta da un entusiasmante prequel), per l’editore Giunti, del suo nuovo libro, Il cavaliere di luce, primo volume della sua nuova saga fantasy: Hania. Una trilogia che promette grandi emozioni e forti sensazioni, in cui bene e male, luce e oscurità si alternano fra le pagine e nella mente del lettore, che può solo abbandonarsi e lasciarsi cullare fra tempo e spazio.
Silvana De Mari ha risposto ad alcune domande di NarraMondo, raccontando qualcosa di più sulla sua scrittura e sul suo nuovo libro.
Perché scrivere e leggere fantasy?
Perché l’ambientazione fantastica permette di affrontare anche i temi più duri restando su un piano di leggerezza. Il fantasy ci permette un linguaggio universale.
La competenza scientifica nei suoi settori lavorativi (medicina e psicoterapia) influisce nella progettazione e nella narrazione delle sue storie?
Certo, aiuta molto nella costruzione dei personaggi non solo aver studiato alcune linee guida, ma aver ascoltato un gran numero di persone, che raccontano la loro storia. La conoscenza medica è estremamente utile per descrivere ferite ed epidemie, rimedi e fitoterapia, intossicazioni e parti.
C’ è un filo rosso che unisce il fantasy alla religione?
Il Fantasy è religione, parla di Dio e della morte, dell’altra realtà ovunque negata, benché inoppugnabile, di uno scontro frontale tra il bene e il male.
I suoi personaggi riescono sempre ad emergere da situazioni problematiche; il dolore, la vergogna e la sofferenza provati hanno una loro forza propulsiva per l’individuo?
Il dolore permette il desiderio, e quindi il movimento. Un mondo senza dolore è un mondo immobile che non ha più la spinta verso le stelle. Nella parola desiderio, c’è la parola sidero, stelle.
Affermava G. Pontiggia che “l’occhio che guarda il male è più prezioso di quello che si chiude”. Raccontare” il male” può servire a trovare un equilibrio sociale ed interiore?
La letteratura è nata per questo, per osservare il male e raccontarlo, per spiegare la speranza e insegnare come attuarla.
Nel 2014 è stata promotrice, nel progetto Insieme per la scuola, della lettura e della scrittura tra i giovani italiani. Cosa le ha lasciato questa esperienza? E’ stato difficile interpretare i sogni e le ambizioni di una nuova generazione?
È stato estremamente interessante lavorare con i ragazzi. Quando ho accettato il progetto ero perplessa, temevo che sarebbe stato faticoso lavorare su una trama non mia, invece è stato divertente.
Ci parla della nuova saga in uscita?
È la mia seconda saga. Entrambe cominciano con un bambino Yorsh, l’Ultimo elfo nato con il compito di salvare il mondo e Hania nata con il compito di dannarlo.
Entrambi dotati di libero arbitrio.
Entrambi si umanizzano. Yorsh ama e quindi combatte. Ce l’ha spiegato Chesterton, perché una storia funzioni, perché di notte restiamo svegli per arrivare fino a pagina successiva, perché entri nei nostri sogni, devono esserci tre personaggi: la principessa, San Giorgio, il Drago.
Ogni romanzo deve conoscere il principio dell’amore e della battaglia deve esserci una principessa, l’oggetto da amare e per il quale battersi, deve esserci il drago che la tiene in ostaggio, e deve esserci lui, San Giorgio, che è colui che ama e combatte. La principessa può anche essere il mondo o la terra di mezzo, ma il punto fondamentale è che San Giorgio, o chi per lui, ama e combatte. Ed ha ragione Chesterton quando afferma che uno dei più tragici errori della cinica filosofia moderna è che l’amare e il battersi siano stati messi due campi diversi anzi opposti. Non è possibile amare qualcuno senza essere disposto a combattere. Non è possibile combattere che non si ama.
Yorsh ama e quindi combatte. Sacrifica la sua angelicità, entra nel mondo, si sporca di fango e di sangue. Quando l’unica possibilità che ha per salvare colei che ama dall’ingiustizia e dalla morte è uccidere, macchia la sua innocenza. Come ogni vero eroe è dotato di una spada. Yorsh rinuncia alla sua angelicità e alla sua stessa immortalità per amore, uccide. Uccide una patella, e la mangia, per poter conquistare la mortalità senza la quale resterebbe insulsamente vivo e giovane, per poter accompagnare coloro che ama.
Hania nasce chiusa in un silenzio totale e nell’odio per il mondo che ha il compito di annientare. Ha una conoscenza totale della realtà e del linguaggio, ma le mancano le parole amore, amicizia, allegria e compassione che per lei sono solo suoni. La compassione materna di sua madre salva la sua vita e la potenza virile delle narrazioni del Cavaliere di Luce salva la sua anima, perché lei ha un’anima, all’inizio minuscola, che poi cresce e si fortifica e dà rami e frutti, come un albero di melograno nato da un unico grano seminato nel deserto.
Yorsh è dolce, attento, compassionevole.
Hania è aspra, caustica, sarcastica.
Ambedue rinchiusi in una disperata solitudine, quella di Yorsh annegata di parole, quella di Hania priva di qualsiasi suono, da cui riescono a uscire per la forza dall’amore, dell’amicizia, della compassione.
Ambedue amano, quindi combattono. E diventano creature umane, dotate di libertà, di libero arbitrio.
Quando l’angelo compare davanti ad Adamo ed Eva che hanno mangiato il frutto proibito dice una parola ebraica, timshel.
Il frutto proibito che non è la mela, giuro. È il frutto proibito. Non è specificato quale e così deve essere. Diventa la mela nel medioevo per l’assonanza tra mela e male in latino, malus. Se non ci credete andate a controllare e già che ci siete rileggetevi l’attacco della Genesi che è di una bellezza sconvolgente.
Nel principio Dio creò i Cieli e la terra. La terra era informe e vuota e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso; e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Poi Dio disse “Sia la luce”.
E la parola timshel? Vuol dire tu puoi. Tu puoi fare. Tu puoi non fare. È la libertà il dono più terribile e più grande.
Yorsh e Hania scelgono, diventano creature umane, creature, di luce e di tenebra che però hanno dentro un anelito eterno verso la felicità e verso il bene.
Yorsh e Hania faticosamente conquistano la libertà. E la libertà serve per fare il bene.
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