È ufficiale. Il commissario Tommaso Casabona è diventato un personaggio seriale.
Lo ritroviamo in questa seconda avventura alle prese con una bega non proprio facile da risolvere.
In un paese ai confini della Valdenza, il luogo immaginario ma non troppo dove è ambientata anche la vicenda del precedente romanzo, un uomo di settantacinque anni viene ucciso davanti al “castagno dell'impiccato”. L'omicidio ha tutto l'aspetto di un'esecuzione e nel paesino di Torre Alta le chiacchiere iniziano a serpeggiare.
Il “becero”, così era soprannominata la vittima, secondo la voce popolare era legato a una terribile vicenda: a una strage compiuta dai tedeschi alla vigilia della loro ritirata. Qualcuno li aveva informati che una particolare famiglia aiutava i partigiani e, il giorno dopo, quando arrivano gli americani a liberare Torre Ghibellina, di quella famiglia composta da sette persone non rimane più nessuno.
Poi viene costruita la diga, gli abitanti si spostano a Torre Alta e l'acqua ricopre pietosamente tutto, anche la casa dove tanto sangue è stato versato e il cimitero dove le vittime sono state sepolte.
La trama si dipana, come è facile supporre, su più tratti temporali, alcuni vissuti in presa diretta come la morte del corrispondente di guerra Larry Stone, nella Parigi del 1967, altri invece grazie ai racconti dei personaggi del romanzo, ai loro ricordi, ai loro punti di vista che arricchiscono la trama di particolari diversi e suggestivi, come tanti flash back di un film, che riportano il lettore al 1945.
Ma che rapporto c'è tra un paesino di montagna, ora ricoperto dall'acqua della diga, la morte del “becero” e i vari episodi che ci trasportano ora a Parigi, ora nel Bronx, poi a Monaco e a Roma?
La trama complessa rende il romanzo avvincente grazie anche al ritmo ben sostenuto da frasi brevi che non indugiano molto sulle descrizioni; i personaggi sono ben caratterizzati, come tanti pezzi di un puzzle occupano un posto preciso nella trama, tanto che il lettore – esempio piuttosto raro in un giallo – non si chiede mai di chi stia parlando l'autore: lo sa benissimo.
E poi c'è il protagonista, il commissario Casabona che con un escamotage narrativo – un litigio con la moglie all'inizio di quella che doveva essere una vacanza per ritrovarsi, bruscamente interrotta a causa di un nuovo omicidio «... per quale cazzo di motivo si deve ammazzare una persona di ferragosto?» – lo vediamo esclusivamente nella sua veste lavorativa. Soffre ancora della sindrome del nido vuoto ma, lavorando, il disagio è meno diffuso, più impalpabile, anche se dovrà risolvere in qualche modo la non facile situazione con sua moglie.
Ed è singolare che gli aspetti più intimi del protagonista emergano sul lavoro e che, proprio in questo contesto l'autore si possa concentrare maggiormente sulla psicologia del personaggio, su ciò che lo spinge ad andare avanti ma anche su ciò che per lui ha più valore: la sua integrità morale, il suo muoversi con difficoltà all'interno delle gerarchie e dei regolamenti.
D'altronde Casabona lavora per difendere la legge ma non lo Stato, se i due fronti non coincidono. Ma come fa ad essere certo di non trovarsi mai dalla parte del torto?
Un bel romanzo dunque, dal ritmo sostenuto, dalla storia affascinante, capace di rapire il lettore grazie alla trama credibile e avvincente. Può darsi che alcune realtà del nostro paese si intreccino con la finzione del romanzo, creando una sorta di universo parallelo, che non può che creare una tensione e un pathos e una partecipazione maggiori. Nel lettore si richiamano spesso ricordi di cronache note che generano una inspiegabile sensazione di déjà vu.
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