Giacomo Cacciatore e Antonio Pagliaro sono due scrittori di Palermo, uno di adozione e l'altro di nascita. Entrambi scrivono storie nere e hanno quasi la stessa età, essendo nati nel biennio 67/68 del secolo scorso. Questo è tutto quello che hanno in comune. Per il resto, direbbero i loro concittadini, l'uno con l'altro non ci azzeccano una minchia. Lo stile letterario, fatto di sospensioni e dissolvenze di Cacciatore è l'esatta nemesi del behaviorismo manchettiano di Pagliaro, essenziale, affilato e letale come una lama. Non c'è niente di meglio di due punti di vista così diversi – eppure egualmente efficaci – per farsi raccontare una città che, negli ultimi anni, sembra avere in attività più scrittori noir di Los Angeles. Li intervistiamo a pochi mesi dall'uscita dei loro ultimi due romanzi, La differenza e Il bacio della bielorussa, editi rispettivamente da Meridiano Zero e Guanda.
Palermo città noir. Come spiegate il fenomeno?
[G.C.] Perché è sempre più sporca, cattiva, incazzata e amorale. Nelle mani di tutti e di nessuno. Prima c’era il noir di seppia. Oggi è tutta bile.
[A.P.] Palermo è città contraddittoria e violenta, spesso grottesca, allo stesso tempo metropoli globalizzata e paesone di un passato arcaico, città luttuosa perché per tanti anni i morti sulle strade sono stati la normalità. Con queste caratteristiche, probabilmente la chiave narrativa del noir è la più adatta a raccontarla. In ogni caso, è l'unica che so utilizzare io. In realtà però se la definizione “città noir” si riferisce non alla città in sé ma alla sua produzione letteraria, allora non sono d'accordo: non mi sembra che in molti la raccontino così. La Palermo letteraria è molto più gialla che noir.
In più, avete un sacco di colleghi. Chi sentite più vicino al vostro lavoro?
[G.C.] Nessuno o quasi. Io passo per un nichilista pessimista. Di fatto, lo sono. E’ più forte di me. E tendo all’isolamento. Forse c’è un’affinità elettiva con Roberto Alajmo – il cui “ennui” è tagliente come una lama di rasoio, ammorbidita da un ineffabile sarcasmo – ma ancora tutta da scoprire; certo è che se mi ha aperto le porte del Teatro Biondo per rappresentare una messa in scena de “La differenza”, un motivo ci sarà. E mi sento molto vicino a Piergiorgio Di Cara. Uno che scrive come se facesse irruzione. Da par suo. Da polizotto.
[A.P.] Non sento nessuno molto vicino al mio lavoro, almeno fra gli autori palermitani che ho letto. Ci sono autori molto bravi ma non mi sembra che abbiamo molti punti in comune.
La folta truppa dei professionisti della scrittura nera di Palermo è una comunità o una banda di cani sciolti? Siete in concorrenza fra di voi? Che aria tira?
[G.C.] Il palermitano è cane sciolto per formazione e nel Dna. Quando non ci si annusa e non ci si concede di scodinzolare, ci si azzanna. Vado molto più d’accordo con amici che si occupano di altro: recitazione, scenografia, fotografia. O con certe amichevoli giornaliste e lettrici. Poi ci sono anche gli amici-amici, a prescindere dalla vocazione che ci accomuna.
[A.P.] A me sembra una banda di cani sciolti, ma potrebbe anche essere una comunità dalla quale sono escluso. Non mi sento in concorrenza con nessuno perché non credo che leggere un autore noir ne escluda un altro, anzi, in genere funziona al contrario: un bravo autore noir palermitano può invitare alla lettura di altri. Quindi i concorrenti nocivi non sono quelli più bravi di me, ma quelli che scrivono male e deludono e demotivano il lettore. Non so bene che aria tiri in città, io per lo più sto a casa mia, però ho internet e mi accorgo che a volte tira un'aria sgradevole quando piccole cose si trasformano in furiose polemiche sui social network.
Una città è fatta di tessuto urbano e abitanti. Quanto peso date ai due elementi nella vostra narrativa?
[G.C.] Un peso fondamentale. Se dovessi lasciare Palermo (e Dio sa se non ci penso ogni giorno) non saprei di che scrivere. Palermo mi fa incazzare, ed è lo stato d’animo indispensabile per battere la prima parola di un nuovo romanzo o racconto.
[A.P.] Il tessuto urbano lo lascio alle guide turistiche, mi pare che i mercati del Capo o della Vucciria, il mare di Mondello e il teatro Massimo siano stati raccontati tante volte, quasi sempre con un tono folkloristico che non mi piace. Gli abitanti mi interessano di più, Palermo sa produrre personaggi memorabili.
Causa contratto milionario, la vostra nuova casa editrice vi concede un solo, ultimo romanzo per raccontare Palermo. Dopo di questo, nisba: saranno romanzi rosa o thriller storici sulle dinastie thailandesi, in ogni caso strapagati. Avete a disposizione tre personaggi per descrivere per l'ultima volta la vostra città. Chi andate a pescare nell'oltre un milione e passa dell'area metropolitana?
[G.C.] Un poliziotto ridotto a passacarte, un boss ridimensionato a mezza tacca e un gay in lotta con una città che non lo accetta.
[A.P.] Non scrivo di persone reali, quindi non è nel milione dell'area metropolitana che andrei a pescare in ogni caso, ma nella mia fantasia. Avrei comunque problemi più gravi, in tale scenario fantascientifico. Come diavolo si scrive un romanzo rosa?
E se invece dei tre personaggi vi concedessero un romanzo biografico su un personaggio storico? Chi scegliereste e perché?
[G.C.] Io ho già scritto la biografia di un personaggio per me “storico”. E’ pronta. “Storico” lo metto tra virgolette perché lui non è nei libri di storia. Era un ragazzo come tanti, con un sogno speciale. E mortale. Fa parte, però, della cronaca cittadina, quella vera. E si lega alla storia recente della città, delle stragi di mafia, degli intrighi nazionali, forse anche della “trattativa”. Lo sto proponendo adesso agli editori, per questo taccio il nome della persona che ne è protagonista. E nel frattempo cerco di capire cosa vogliano le case editrici, che è un enigma irrisolto e irrisolvibile.
[A.P.] Rispondere Cagliostro è la scelta più ovvia, ma l'hanno già raccontato in tanti. Allora potrei scegliere Totò Schillaci e le “notti magiche”. O forse, per scrivere una storia più nelle mie corde, Michele Profeta, un uomo che voleva fare il serial killer da romanzo, con carte da gioco e numerologia, ma si fece prendere dopo appena due omicidi perché utilizzava la stessa scheda telefonica per telefonare alla Questura e alle famiglie (ne aveva due).
La letteratura in una città non la fanno solo gli scrittori. Come sta l'editoria palermitana? È in salute?
[G.C.] Ci sono nuove realtà editoriali indipendenti che affrontano l’improba impresa. E a loro auguro tutta la fortuna del mondo: lo meritano. Una di queste, la Leima, ha pubblicato da pochi giorni una nuova edizione del libro “Il terrorista dei generi – Tutto il cinema di Lucio Fulci” che ho scritto (e in questo caso ampliato) con Paolo Albiero: un volume monumentale e ricercatissimo da anni che alla casa editrice è costato uno sforzo titanico in termini economici e di coraggio. Per il resto, a Palermo ci sono editori blasonati la cui logica è molto cambiata nel tempo, e non certo in meglio. Io il mio prossimo romanzo lo vedrò uscire grazie a Baldini&Castoldi. Che è di Milano. Come mai? Non lo so. Chiedetelo alla più importante casa editrice palermitana. Io non lo faccio. Ognuno a casa propria sceglie ciò che vuole e che più gli aggrada. Anche a costo di “dimenticare” validi scrittori cittadini.
[A.P.] L'editoria palermitana è sorprendente. In una città altrimenti defunta sotto ogni aspetto culturale, sopravvivono e a volte prosperano numerose case editrici, alcune eccellenti. Mi pare che Sellerio sia una delle case editrici migliori d'Italia, certamente con Adelphi la più elegante, e una delle pochissime che non hanno ceduto alla tentazione di riempire il catalogo di “libroidi” (dove per libroide si intende un oggetto a forma di libro scritto da un personaggio famoso). E oltre Sellerio, ci sono Ottavio Navarra, un imprenditore di rara intelligenza, Leima, Corrimano e 21 Editore che mi sembra stiano facendo un buon lavoro. Qualcun'altra certamente la dimentico. C'è poi “Una marina di libri”, un festival del libro che in cinque anni, sebbene alla periferia dell'impero, è cresciuto fino a essere considerato una manifestazione importante.
Esiste una comunità di lettori?
[G.C.] Sì. Su Facebook. Alcuni ruotano attorno a un paio di librerie chic. Altri se ne fottono di quel che dice il libraio e seguono l’autore, perché lo stimano e per quel che produce. Io conto su questi ultimi. Sapete chi ha davvero potere decisionale in editoria? I distributori e i librai. Ma, per fortuna, gli unici a muovere le cose alla fin fine sono i lettori. Il lettore vero non ti valuta a peso e per vendite, come i salumieri. Quella è la pania dei distributori e dei librai. Che dire? Chi vivrà vedrà.
[A.P.] Tasto dolente. Non lo so, spererei di sì, ma mi pare che a Palermo si scriva e si pubblichi e poi i lettori dobbiamo trovarli in Lombardia. È vero che a “Una marina di libri” c'è sempre folla e sarebbe logico pensare che si tratti di lettori, ma Palermo non è città logica, io dico che a “Una marina di libri” la gente ci va per “cusciuliare” e che tornata a casa, magari anche con un libro comprato per caso (“Offerta fiera: 5€”), il libro lo posa e accende “Striscia la Notizia”.
I quartieri di Palermo sono 25. Esercizio di stile: la città in 25 parole. [G.C.] Bellezza intermittente, schiava arrogante. Rancorosa e amorevole, sei fosca, incontrollabile. Persino fedele, ma traditrice meglio ancora. Scostante, in una parola. Barocca, sbreccata, ruffiana, dama, puttana
[A.P.] Usa qualche parola in più, ma la città la descrive bene Franz La Fata ne “Il bacio della bielorussa”: «Palermo è città selvaggia. Oramai è tutto un intrallazzo, onestitudine non ce n’è più e si respira aria di guerra. È una città da devastare per diventare più furbi, più forti, per rubare di più, insultare e picchiare. Una città dove tutti si odiano con tutti.»
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