Turandot sarà rasppresentata al teatro La Scala per l’apertura dell’EXPO, Madama Butterfly andrà in onda su Rai 5 il 3 maggio.
Rifletto sulle figure di queste due figure femminili pucciniane.
Turandot è una favola nera, piena di uccisioni e torture ma che si risolve con un lieto fine. L’amore fa breccia nel cuore della gelida principessa, grazie anche (quello che, credo, è stato messo in risalto dallo scenografo) al sacrificio di Liù, innamorata a tal punto di rinunciare alla vita per lui. Mi piace pensare che Giacomo Puccini avesse una predilezione per la fragile e al tempo stesso coraggiosa Liù, dal momento che le parole della morte di Liù le scrisse egli stesso.
Turandot è crudele perché non vuol dimenticare l’offesa mortale portata da uno straniero a una sua ava.
In Madame Butterfly invece la donna rimane “sola e rinnegata” dai suoi per amore del fascinoso occidentale che la tradirà, anzi la sta tradendo nel momento stesso in cui la sposa. “Quel giocattolo è mia moglie”. Mi ha colpito non tanto il meccanismo dell’amore rinnegato-morte quanto il fatto che Butterfly muoia molto prima e per opera di tutti: i gran sacerdoti che la maledicono come traditrice del suo popolo e della sua religione, tutti i presenti e infine l’uomo per cui ha sacrificato la propria vita. Il senso di solitudine, di abbandono insieme alla vergogna sono un cocktail mortale per la povera Cio-cio-san.
Si sa che le situazioni dipinte nei libretti d’opera sono sempre fortemente caratterizzate, talvolta al limite del grottesco e dell’assurdo, ma i temi che sottendono a queste favole nere mi sono sembrati estremamente moderni.
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