Un romanzo dissacrante ambientato in un appartamento confrotevole nella Roma bene, dotato di ufficio, palestra casalinga, dove il proprietario, chiamato "il dirimpettaio anziano" è un guru della Rai che abitua le sue domestiche a preparargli cene ipocaloriche e ad essere trattate come pezze da piedi. Il cinismo che lo connota si è fatto di granito dopo una vita di esperienze e conoscenze nel mondo dello spettacolo e gli fa dividere categoricamente il mondo in ciò che serve e ciò che inutile, secondo una prassi all'utilitas che ha dimestichezza con un certo tipo di potere, quello più invisibile e pervasivo:
«Sai cos'è il potere? Il potere è quando parlano di te senza neanche fare il tuo nome».
Ha un'opinione al vetriolo su tutto e sa ferire con quell'ironia tagliente che riversa soprattutto nei confronti del suo compagno, "il dirimpettaio più giovane", un aspirante-qualcosa-purché-mediatico, che lo pappagalleggia con scarso successo e mostra, nella sua debolezza, nella sua impotenza, la parte umana che l'altro pare abbia perso non solo nei dialoghi, ma anche nelle espressioni facciali. Il dirimpettaio giovane vorrebbe emergere in quel mondo magico televisivo in cui il compagno l'aveva raccomandato anni prima, introducendolo ma senza dargli una spinta sufficiente per farlo spiccare. Del resto il ragazzo non è dotato di grandi talenti o attitudini o strategie, come gli viene rinfacciato quando quello pensa di riproporsi:
«Sai chi li manda i curriculum? I terroni che sognano di scrivere le fiction Rai con cui sono cresciuti. I morti di fame che non hanno idea di come funziona il mondo del lavoro, figuriamoci la televisione. Italiana, per giunta. Me ne arrivano a pacchi. Li butto tutti senza leggerli. Non c'è niente di più umiliante che scrivere un curriculum».
L'autore, Fabio Viola, è traduttore e scrittore e ha avuto la bella idea di rielaborare le pagine sorte sui social come sitcom, a partire da giugno 2012, in questo romanzo da poco uscito per Baldini&Castoldi. Lo scenario è un luogo è privato e serba momenti di apparente intimità, eppure Viola riesce, con un tocco magistrale di illusioni ottiche, a rendere la casa stessa un palcoscenico, come già anticipato da un titolo che presuppone uno o più spettatori. Qui uno dei dinosauri della televisione italiana si riposa, ferisce, ordina, demistifica, insulta, beve i suoi succhi sanissimi e ricostituenti, si fa praticare fellatio arroccato nella sua solitudine e nella consapevolezza stanca che comandare gli ingranaggi del sistema è ben diverso che farne semplicemente parte. Chi ne fa parte subisce e si lascia lobotomizzare perché in fondo lo vuole, non perché così si cospira dall'alto. Forse il discorso sarebbe più complesso, gli suggerisce il partner più giovane, ma non importa: il circolo vizioso è suggellato.
Oltre agli amici ospiti, anche eccellenti, oltre alle due domestiche con lo stesso nome, questo piccolo regno viene visitato regolarmente dalla sorella del padrone e dal consorte, personaggi eccentirci e agli antipodi: salutista con tendenze olistiche lei, borgataro coatto lui. Il sipario resta alzato giorno e notte, la narrazione procede snella e ritmata per capitoli brevi in cui prevalgono gli scambi di battute, quasi fosse un copione, e non mancano le chiusure preziose o i piccoli gioielli espressivi come, ad esempio, "flagrante nullafacenza" o "lattiginosa inutilità".
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