“La fisarmonica appoggiata sul sedile posteriore della vettura è schizzata di sangue. Guardandola, Neno si sente rabbrividire e solleva il colletto della camicia, anche se l'aria in quella giornata d'inizio estate è calda e il parcheggio è in pieno sole”.
Snoopy Polka, noir balcanico, è il romanzo d'esordio della poetessa e traduttrice Laura Marchig, rappresentante della minoranza italiana in Croazia. Mi trovo a parlare del testo in questione nella veste di curatrice della collana della Oltre Edizioni Edeia/Narrazioni, che dirigo insieme a Diego Zandel. La scelta di pubblicare il romanzo di Laura è in linea con l'interesse della collana di diffondere la letteratura di quella minoranza italiana che ancora tanto, troppo poco è conosciuta in Italia. Questa uscita si lega infatti ad altri due nomi illustri: Giacomo Scotti con la raccolta di racconti Guerre, uomini e cani, appena pubblicata, e Nelida Milani con La bacchetta del direttore.
Con un esordio che nulla ha da invidiare al Tarantino di Pulp Fiction, la storia si dispiega in un intreccio di vicende che procedono per flash, ellissi e riprese dal sapore tutto cinematografico. La scrittura cruda ed essenziale, in cui non c'è spazio alcuno per patetismi e smancerie di sorta, ricorda certa letteratura americana, anche se chiara è pure l'influenza balcanica: si va dritti al sodo della scena, catapultati nelle viscere dell'emozione. I personaggi, figure degne dei più noti gironi infernali (non a caso viene citato il Dante dell'Inferno e non a caso il canto di Ulisse, esule per antonomasia), sono coinvolti in un vortice di situazioni grottesche e paradossali - esemplare l'indimenticabile Margot - tra triangoli amorosi, figli illegittimi, droga, omicidi e cadaveri; il tutto condito da una pioggia di sangue, ingrediente quasi surreale che, in apertura e chiusura delle vicende, metaforicamente ci riporta, in maniera circolare, al dolore di un popolo assediato dalle guerre interetniche, con un sarcasmo che non risparmia niente e nessuno. Il lettore avvertirà più e più volte un senso di spaesamento nel tentativo di tenere le fila della matassa, il tutto aggravato da un narratore a dir poco volubile, che da esterno si trasforma improvvisamente in io narrante per poi passare nuovamente alla terza persona e così via. Ma sta proprio qui l'originalità dello stile e comunque, posto che l'arte vada sentita e non necessariamente capita, l'autrice nel finale rivela la propria maestria di burattinaia che tutto fa tornare secondo gli studiati piani (non dimentichiamo che la Marchig è anche regista teatrale).
Se il rosso è il colore che predomina (il titolo originario del romanzo era proprio Cielo rosso), l'udito è solleticato dalle note della Snoopy Polka e del kalashnikov, in una scoppiettante ballata di uomini e cadaveri.
Questa terra è sì la Croazia, mai nominata in forma esplicita, ma potrebbe essere qualsiasi altra parte del mondo vittima degli stessi conflitti e discriminazioni.
Le storie individuali sono una giostra manovrata dalla Storia, che squarcia le vite dei personaggi attanagliandoli in ricordi e sofferenze da cui è difficile riprendersi. La guerra così non può non entrare che prepotentemente nelle pagine del romanzo:
“Sai, certi mi criticano perché dicono che non so parlare che di guerra, che i miei fumetti non sono altro che delle cronache di guerra. E io dico: e di che cosa dovrei mai parlare? Noi che siamo nati durante la guerra e che non abbiamo altre memorie dell'infanzia al di fuori della guerra, di che cosa potremmo mai parlare? Non ce la scrolliamo di dosso”.
La polemica dell'autrice contro un certo primitivismo, in cui nazionalismo, omofobia e maschilismo sono ancora imperanti, convive però con una vera e propria dichiarazione d'amore verso il proprio Paese; gli accenti sinestetici e incantati, che caratterizzano le descrizioni del paesaggio, prendono corpo fino a diventare le tinte di una plastica prosa visiva:
“Avrei bisogno come di uno strumento, come di una fisarmonica per cantare il giallo delle ginestre che si protende generoso verso il cielo, abbaglia questa strada che è un budello di curve, uno scroscio di pietre, quasi perle, che si affrettano a piovere sul mare. Amo questa terra. Non la sua gente […] Amo questa terra con i suoi colori a strapiombo, i suoi profumi che picchiano forte. Ma non la sua gente”.
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