Ben Pastor è una scrittrice nata a Roma il 4 marzo 1950.
Laureata in Lettere con indirizzo archeologico presso l'università La Sapienza, subito dopo aver terminato gli studi si trasferisce negli Stati Uniti.
Acquisita la cittadinanza americana, senza però rinunciare a quella italiana, compie una rapida gavetta accademica, diventa docente di Scienze Sociali presso numerose Università e, nel contempo, accanto a un'intensa attività saggistica e didattica si cimenta nel giallo storico e dà alle stampe decine di racconti sulle principali riviste di letteratura poliziesca tra le quali figurano: “Alfred Hitchcock's Magazine”, “The Strand Magazine” e “Ellery Queen's Mystery Magazine”.
Nel 2000 pubblica negli USA “Lumen”, il primo romanzo poliziesco della serie di Martin Bora.
Il buon esito del libro spinge l'autrice a cimentarsi con ulteriori volumi, che vengono tradotti e pubblicati in Canada, Spagna, Portogallo, Italia, Francia, Regno Unito, Olanda, Germania, Croazia e Brasile.
Escono così “Luna Bugiarda”, “Kaputt Mundi”, “La canzone del cavaliere”, “Il morto in piazza”, “La Venere di Salò”, “La Morte, il Diavolo e Martin Bora”, “Il signore delle cento ossa” e “Il cielo di stagno”.
Oltre ai libri che hanno per protagonista il tormentato ufficiale-investigatore tedesco, l'artista ha scritto “I misteri di Praga” e “La camera dello scirocco” un dittico narrativo dove, attraverso un composito intreccio giallo ambientato alla vigilia della Prima guerra mondiale, vengono rivisitati i personaggi e le atmosfere della Praga magica di Franz Kafka e di Joseph Roth, e “Il ladro d'acqua”, “La Voce del fuoco”, “Le Vergini di Pietra” e “La traccia del vento”, thriller ambientati nel IV secolo d.C. aventi per protagonista uno storico-detective realmente esistito: Elio Sparziano, nome, forse fittizio, dietro il quale si nasconde uno dei compilatori dell'Historia Augusta.
In occasione della pubblicazione in una nuova veste, da parte dell'Editrice Sellerio, di “Lumen” e “Luna bugiarda”, titoli stampati originariamente dalla Hobby & Work Publishing nella collana Mystery, e dell'ultima indagine di Martin Bora, “La strada per Itaca”, Ben Pastor ha voluto rispondere ad alcune domande che le ho posto.
Quindi senza indugiare oltre lascio a lei la parola.
Per i lettori che non la conoscono potrebbe presentarti in due parole?
Difficile battere in concisione e simpatia quello che risponde Rodolfo alla vicina di casa Mimì nella Boheme: “Cosa faccio? Scrivo!”.
Scherzi a parte, sono una persona che ha imparato ad amare la scrittura leggendo molto, e che dopo una carriera universitaria negli USA, preceduta da una breve ma fruttuosa esperienza museale, si è dedicata a tempo pieno alla narrativa.
Scrivo in inglese per una serie di motivi ideali e pratici, primi fra tutti la duttilità e la stringatezza elegante di quella lingua.
Nata Maria Verbena Volpi, perché ha deciso di pubblicare i suoi romanzi sotto lo pseudonimo di Ben Pastor?
Io mi chiamo davvero Ben Pastor.
Per essere più precisa, Pastor è il cognome del mio defunto marito americano (gente basca e francofona della Louisiana, con molti antenati che combatterono nell’esercito sudista).
Ben è il diminutivo di Verbena, nome difficile da pronunciare in inglese.
Questa combinazione mi ha permesso di non adottare uno pseudonimo.
Ha scritto numerosi gialli storici.
Questo perché considera l'ambientazione storica una cornice insolita o c'è dell'altro?
È ormai arduo parlare di “cornici insolite” per i gialli.
Ma è vero che la Storia offre un destro interessante a chi scrive mystery.
La Storia di per sé non esiste: esistono gli eventi, i fatti grandi e piccoli che coinvolgono i singoli e le nazioni.
Quello che chiamiamo Storia è un modo di leggere e organizzare cronologicamente, e spesso ideologicamente, il mondo.
Nelle mie tre serie, che si svolgono rispettivamente nella Tarda Antichità e durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, manca buona parte se non tutta la tecnologia che oggi impera nella letteratura gialla.
Mi piace pensare a investigatori che non possono dipendere da computer onniscenti, cellulari portentosi, infallibili profili del DNA…
Il mio Elio Sparziano si muove in un mondo che molti (non lui) credevano ancora piatto e al centro dell’universo.
Meisl e l’amico Heida vivono prima degli antibiotici e della televisione.
Martin Bora, che come ufficiale dell’Abwehr pure ha accesso al meglio della tecnologia tedesca, deve servirsi della telescrivente per trasmettere messaggi...
In questo senso la Storia fornisce ai miei detective una cornice e allo stesso tempo un limite, che nella loro scaltrezza devono cercare di superare.
Molti dei suoi libri sono ambientati durante la parabola del regime nazista.
Che significato ha per lei questo periodo storico?
A parte il fattore generazionale, per chi come me è nato dopo il Secondo conflitto mondiale da genitori che l’hanno vissuto sulla propria pelle, c’è anche un interesse che definirei “dolente” per la disastrosa spirale ideologica che ha portato al genocidio, e forse a più di cinquanta milioni di morti in tutto il mondo.
Per questo ho frequentato gruppi di studio accademici sull’Olocausto: per cercare di capire come si sia potuto approdare all’orrore in un’Europa che sembrava essere progredita oltre la barbarie.
A quale dei personaggi da lei creati è più affezionata?
Perché?
I figli, come fa dire Eduardo a Filumena Marturano, “so’ piezz’e’ core”.
Non si sceglie facilmente fra loro.
I miei personaggi principali sono il medico ebreo praghese Solomon Meisl, con l’amico lanciere Karel Heida, lo storico dioclezianeo Elio Sparziano, e l’ufficiale sassone degli anni Quaranta del Novecento, Martin Bora.
Ognuno di loro ha le sue caratteristiche e qualità: Meisl è saggio e positivista; Heida è un ragazzo entusiasta alle soglie della Grande Guerra; Sparziano è un pagano educato dagli Stoici ma estroverso e capacissimo di godersi la vita.
Quanto a Martin… Be’, è Martin.
Quanto di lei è presente nella figura di Martin Bora?
Quanto di storico?
E quanto di inventato?
Si dice che Maigret fu per Simenon il tipo d’uomo che Simenon avrebbe voluto essere, se non fosse stato l’esatto contrario.
Martin Bora – maschio, giovane, tedesco, soldato, aristocratico – e io non abbiamo apparentemente niente in comune.
Eppure, a guardar bene, condividiamo un affetto profondo e spesso deluso per gli esseri umani, il senso del dovere e un grande rispetto per i morti.
Siamo entrambi forti lettori, amiamo la musica e ci poniamo domande di natura etica.
Di storico in Bora c’è quanto ne definisce la cultura, l’educazione, la politica del suo tempo, la religione di cattolico discendente dalla moglie di Lutero.
Bora è modellato sugli uomini della resistenza interna al nazismo, non solo su Claus von Stauffenberg, l’eroico e sfortunato attentatore alla vita di Hitler.
Tutto il resto è “verosimilmente inventato”, si potrebbe dire, anche se è innegabile che la piccola nobiltà terriera e la borghesia industriale tedesca di inizio Novecento produssero uomini e donne di grande cultura e tempra morale, consci dei doveri verso la società che derivavano loro dal privilegio di nascita.
Perché ha sentito l'esigenza di far si che “Lumen” e “Luna bugiarda”, primi titoli che hanno per protagonista l'ufficiale dell'esercito tedesco e collaboratore dei servizi segreti Martin Bora, fossero ripubblicati?
Quando una casa editrice decide di pubblicare una serie che si svolge nell’arco di sette anni, anche se nel caso di Bora ogni romanzo può essere letto autonomamente, dato che presenta diversi momenti del conflitto come pure del percorso personale e affettivo del protagonista, ha senso offrire ai lettori tutta la lista dei titoli, anche per quanti non conoscessero già il personaggio da edizioni precedenti.
Sellerio ha sviluppato un’ottima linea editoriale e gode di un pubblico molto attento, affezionato e fedele.
Credo che ai suoi lettori faccia piacere seguire l’intera avventura di Martin Bora nella stessa prestigiosa veste editoriale.
Il prossimo titolo ristampato sarà “Il morto in piazza”, al quale farà seguito il nuovo romanzo che sto scrivendo attualmente.
Quali fonti usa per documentarsi?
Dipende dal periodo storico: per il IV secolo dopo Cristo, epigrafi, storiografia greca e romana, atti dei martiri, protoromanzi (come il Satyricon, ma non solo), poesia epica e lirica.
Per i romanzi che si svolgono nel XX secolo, comincio con le fonti primarie, frequentemente in lingua originale (ordini scritti, bollettini di guerra, diari, rapporti dal fronte, corrispondenza), e continuo con quelle secondarie (i migliori saggi storici, spesso monumentali); ephemera d’epoca (libretti militari, foto, cartoline, pubblicità), e poi naturalmente cartine militari e non, guide turistiche, riviste...
La ricerca in rete forma un discorso a parte, per cui ho sviluppato una serie di protocolli e controlli incrociati con i dati trovati su Internet.
Se mi trovo in Italia, da vecchia appassionata del soggetto, non mi lascio mai sfuggire i weekend di libri storici e uniformologia di Militalia presso il Parco Esposizioni Novegro, a pochi passi dall’aeroporto di Linate, il che è molto comodo per chi scende da un aereo.
Appena posso, però, mi reco direttamente sui luoghi dell’azione.
Per “Lumen”, ad esempio, ho soggiornato a Cracovia per qualche tempo.
Idem per “I misteri di Praga” e “La camera dello scirocco”.
Oltre ai testi che sicuramente leggerà per documentarsi quali altre letture fa?
Be’, considerando che ogni ambiente, ogni periodo storico sono anche plasmati dalla letteratura coeva, cerco di leggere quello che i miei personaggi, da Sparziano a Heida a Bora, il più colto e intellettuale di tutti, avrebbero potuto avere in biblioteca.
Aiuta molto, fra l’altro, a farsi un’idea del linguaggio d’epoca.
Quando non leggo per motivi strettamente associati al lavoro, mi interessano testi di archeologia, sia teoria che fieldwork, analisi junghiana, specie di prima e seconda generazione, religione, sociologia.
Come fiction, prediligo ghost stories inglesi e la grande letteratura del Novecento.
Ma sono tutt’altro che onnivora; o meglio, non più.
Si può essere acritici nelle proprie letture a vent’anni: molti anni dopo, si comincia a scegliere attentamente con quale autore, o autrice, si passeranno i prossimi giorni.
Perché pensa, sempre che per lei sia così, che la storia sia una materia che di per sé non riscuote molto interesse da parte del grande pubblico?
Questo, ahimè, al momento è particolarmente vero per l’Italia.
Negli Stati Uniti, contrariamente a chi ne parla reputandoli, a torto, una nazione senza passato, la storia locale e nazionale – ma non solo – appassiona ancora giovani e vecchi.
In Italia si oscilla fra una sterile rivendicazione degli antichi fasti, secondo la quale possediamo più arte, architettura e storia di chiunque altro, e un’incuria criminale nei confronti dei siti archeologici, perfino da parte delle autorità.
Ignorare la storia non necessariamente ci condanna a riviverla, come pure si è detto.
Ci condanna però a non conoscerci, a non avere uno specchio in cui rifletterci e riflettere come popolo.
Non parlo di nazionalismo becero, ma di autoconsapevolezza (io, che pure sono più americana che italiana!).
E invece ci incagliamo in un mare di chiacchiere insulse sulla correttezza politica ad uso e consumo dei rotocalchi e dei social network, come se multiculturalismo significasse rinnegare in automatico i propri valori fondativi.
Pericolosissimo.
L’identità e l’apertura all’altro devono andare di pari passo in modo equilibrato, senza integralismi, isterismi o pretese egemoniche.
Secondo me, non può esistere rispetto reciproco se non su questa base.
Siamo uguali ma diversi: rendiamocene conto e cerchiamo di collaborare per far emergere i nostri lati migliori, su un piano di parità e di reciproche concessioni basate sul buon senso.
Secondo lei per quale motivo le ambientazioni gialle e misteriose in questo periodo sono tornate così in auge da colonizzare in massa media come cinema e televisione?
L’ignoto ha sempre esercitato una grande attrazione, e in una società disincantata lo si cerca anche in letteratura.
A ciò si somma il godimento “enigmistico” offerto dalla trama gialla, una delle più interattive sul mercato.
Però, come avvisa il proverbio, il troppo può storpiare.
Sembra a volte che fra le letture di intrattenimento esistano solo il giallo e il rosa.
Perfino l’arcobaleno ha più colori!
Nel cinema va un po’ meglio, e si incappa ancora in soggetti che parlano d’altro, occasionalmente in modo non ortodosso.
Quanto alla televisione, sia in Italia che negli USA, vale quanto detto sopra per l’intrattenimento, con una singolare aggravante: il successo di programmi di true crime, che illustrano casi squallidissimi nella loro ferocia, mostra quanto il romanzo giallo si sia allontanato dalla realtà.
Nei gialli il criminale è sempre più astuto, sofisticato e inafferrabile di quanto lo siano le sue controparti reali: per fortuna.
Da autrice ormai affermata che consigli darebbe a chi si volesse affacciare al mondo della scrittura?
Primo, secondo e terzo consiglio; leggere, leggere, leggere.
Una lettura vasta, profonda e continua è, a mio modesto avviso, il prerequisito per scrivere bene.
E per lettura intendo testi che vadano ben al di là del genere e del contemporaneo; è opportuno includere i Grandi, la saggistica, e non tralasciare la poesia, più utile a chi scrive prosa di quanto non si creda.
La facilità di linguaggio, la dimestichezza con un ampio lessico si costruiscono proprio leggendo: ne fanno fede scrittori che hanno molto amato leggere, da Proust alla Yourcenar, a Pasolini, a John Dos Passos.
Quarto consiglio: cercare di conoscere il mondo dell’editoria.
Pensare che una volta scritto un romanzo ne consegua necessariamente la pubblicazione, vuol dire avvicinarsi a un complesso universo di forze ignorandone del tutto le leggi.
In tempi di crisi, poi, è doppiamente importante rendersi conto di cosa significhi il mercato librario, in patria e all’estero.
La letteratura, ora come mai prima, non lascia molto spazio ai dilettanti.
Professionalità, dunque.
C’è una domanda che non le è stata posta a cui vorrebbe rispondere?
Grazie.
Non mi fanno quasi mai domande tecniche.
Per esempio: come si costruisce la trama di un romanzo, e seguendo quale forma ideale: lineare, circolare, sinuosa, episodica, rapsodica...; quando e come si usano la sinestesia e i suoni, inclusa l’onomatopea, per dare maggiore incisività ai paragrafi; come ci si serve della punteggiatura per creare tensione; come si sviluppa il foreshadowing, per far presentire al lettore episodi anche molto al di là da venire nel romanzo?
Sarebbe interessante organizzare una tavola rotonda su tutte queste questioni!
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