L’inchiesta di Mafia Capitale, l’arresto di Massimo Carminati e di altri indagati e la complicità con esponenti dell’estrema destra e qualcuno del centrosinistra, in particolare del consiglio comunale, ha reso improvvisamente profetico un romanzo, edito da Einaudi, uscito nel 2013. Parliamo di “Suburra” scritto da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo. Due autori che, oltre a essere scrittori, nella vita sono anche, il primo, un giornalista d’inchiesta, e il secondo un giudice. Già questo lascia ampiamente sospettare che il loro romanzo in realtà abbia poco di profetico, quanto, piuttosto, basato su elementi concreti non sconosciuti a quanti si trovano nella condizione, in questo caso per mestiere, di legarli tra loro e approfondirli, cambiando quel poco o tanto che serva a fare del testo un’opera di fiction e non un saggio. Per il resto, basti pensare che nel romanzo compare addirittura il distributore di benzina di Corso Francia, che anche nella realtà sapremo essere il luogo eletto di Carminati per i suoi appuntamenti, così come compare, col cognome degli Anacleti, la famiglia di rom che, con altro nome, spadroneggia nella zona di Tor Bella Monaca.
Quanto alla fiction, c’è da dare atto agli autori di aver scritto un bel romanzo, avvincente, sullo stile di “Romanzo criminale” e, come quello, estremamente godibile.
In “Suburra” non compaiono coop oppure onlus raccomandatissime dal potere locale, col fine di lucrare sugli appalti e servizi più vari. Si punta di più sulla speculazione edilizia, lo sviluppo della capitale nella zona sudovest, dall’EUR a Ostia, con le implicazioni anche della Chiesa che, come si sa, in questo campo ha i suoi interessi e può far leva finanziariamente, come compare nel romanzo, sulla banca dello Ior. Tutte cose, per altro, ancora alle cronache, visto che, accanto al mare di cemento che si andrebbe a costruire dal minacciato Parco della Caffarella verso ovest e da tempo si parla del nuovo porto di Ostia quale polo crocieristico, con tutti gli annessi che questa attività comporterebbe, come non è sottaciuto nel romanzo, Una costa, quella romana, che diventerebbe, come lo chiama Ernummerootto, il boss che ha il suo feudo sul litorale, il “waterfront”.
In mezzo, tra i personaggi che danno vivezza al racconto per come sono splendidamente caratterizzati, tutta una serie di prelati, spacciatori di mezza tacca, boss autentici, uno su tutti quello chiamato Samurai, di fede fascista, ma in termini più filosofici, evoliani, che piccolo borghesi, il quale veste qui i panni dell’eroe, seppur negativo. L’eroe buono è invece un colonnello dei carabinieri, Marco Malatesta, anche lui con un passato neofascista, ma che ha ormai ampiamente abiurato attraverso una presa di coscienza severa che trova il suo fulcro nel rispetto assoluto della legalità e delle istituzioni, compresa quella dell’arma. Aspetto che, in diversi modi, non è così specchiato in altre figure di carabinieri, quella di un maresciallo al soldo della famiglia Anacleti e quella del comandante superiore dell’Arma, più preoccupato della propria carriera che del servizio e onorabilità del corpo di appartenenza. Dà completezza al romanzesco più di una storia d’amore e di sesso.
La trama si inserisce nel grande gioco degli interessi e del controllo del territorio della Capitale, quindi all’interno di una lotta tra bande criminali. Un gioco spietato che aiuta il semplice lettore a capire meglio notizie che spesso si leggono sui giornali di regolamento di conti, per cui capita che qualcuno resti vittima di un’esecuzione in mezzo alla strada. Notizie che fanno clamore al momento per come gli omicidi avvengono, ma dei quali poi si perdono i risvolti. Il romanzo ci aiuta a capire le dinamiche, i motivi, sempre legati a disegni in cui il fine è il controllo del territorio, degli affari più vari – dal traffico della droga e delle armi a quello edilizio a quello della prostituzione e così via - tra alleanze più o meno temporanee, tradimenti, summit criminali e luoghi deputati, caratteri e intelligenze, dove a perdere sono sempre coloro che agiscono più sulla base dei propri impulsi e velleità che del cervello. Una situazione che naturalmente crea capi e gregari.
Il romanzo di Bonini e De Cataldo vale mille articoli di giornali tanto è esemplificativo del mondo criminale romano, a cui la scrittura contribuisce a dare meglio una fisionomia tipica del mondo che rappresenta. E può essere letto, benissimo, come una chiave per capire meglio i più recenti fatti di cronaca con tutti i suoi personaggi.
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