Con il notaio criminale Niccolò Taverna…
Ira Domini di Franco Forte, Mondadori 2014.
Milano, agosto 1576. Caldo, peste, monatti, morti, fopponi (fosse comuni), patiboli, grida e dolore. Carlo Borromeo a visitare il Lazzaretto Maggiore per qualche conforto ai disperati. Nello stesso tempo un assassino armato di balestra sembra colpire chi gli capita a tiro. Ultima vittima una ragazza in piazza Carobio. Urge l’intervento del nostro Niccolò Taverna, notaio criminale, con i due assistenti: il gigante Rinaldo e il fiero portoghese Tadino che lo aiuteranno nelle indagini. Secondo problema: sequestrati i figli di don Carlos de Alcante, ricchissimo nobile spagnolo in rapporti con il governatore Guzman e la Corona. Tutti asserragliati in un magazzino di pietre e sabbia che serve per la Fabbrica del Duomo voluta dallo stesso Carlo Borromeo. I sequestratori (incisiva la figura tracotante e spietata del loro capo Lasser de Bourgignac) chiedono soldi, cavalli e una lettera di immunità per fuggire in Francia. Niccolò è chiamato a fare da mediatore, stretto tra i poteri forti di allora.
Due impegni che lo tengono costantemente occupato, mentre il suo cuore vibra per Isabella Landolfi, intelligente, ironica, un po’ monello che lo tiene anch’essa sul chi vive. La classica ragazza con piglio moderno, simbolo di quella donna che, secondo uno dei personaggi (il maestro Cordelli), conquisterà il mondo. Niccolò Taverna, dicevo, uomo forte, risoluto, acume sherlockiano (vedi le sue “scoperte” sul nonno di Isabella) e deduzioni tecniche sulle armi del tempo, aggrappato alla terra e nello stesso tempo disilluso, come dimostra il colloquio con il cardinale Borromeo, il quale invece “credeva in ciò che non poteva vedere”.
Dunque due linee di sviluppo che alla fine si intersecano, con momenti di viva tensione (perfino Rinaldo viene colpito dal balestriere assassino) e altri di lucida analisi delle vicende infiorettati da qualche sorriso, in una ricostruzione storica accuratissima della Milano cinquecentesca, di una città che soffre e nello stesso tempo cerca di non abbandonarsi alla disperazione.
Alla prossima.
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