Che ci fa un fantasy tra le recensioni di ThrillerMagazine?

Perché è questo che vi state chiedendo, o sbaglio?

D’accordo: quesito lecito, ragionevole. Che però non centra il punto focale. L’interrogativo giusto è: può un fantasy essere anche un thriller?

Domanda retorica, ovviamente. Non starei qui a rischiare la polemica di qualche purista dei generi, se non ritenessi affermativa la risposta.

Sì, dunque. E Andrea D'Angelo lo dimostra in modo esemplare con La rocca dei silenzi, la sua quarta uscita da scrittore professionista: un fantasy notevole, pubblicato lo scorso marzo e ben accolto dagli estimatori di questo filone fantastico, in cui peraltro l’autore si è gia ampiamente impegnato. Di D’Angelo è infatti la Trilogia delle Sette Gemme dell’Equilibrio (Nord).

Il prologo del romanzo ci proietta in uno scenario tipico dell’immaginario fantasy, sia letterario che cinematografico che ludico: una rocca inquietante e pericolosa, popolata da demoniaci avversari, e un terzetto di ardimentosi (guarda caso: un nano, un elfo e un umano) pronti a sfidarla malgrado la consapevolezza dell’orrore letale che li attende.

Fin qua, nulla farebbe presagire al lettore di trovarsi di fronte ad un fantasy inconsueto. La singolarità di questo La rocca dei silenzi emerge proseguendo la lettura, addentrandosi nel vivo della vicenda, fino a raggiungere la degna conclusione. Sarà entrando in sintonia con questa trama che il lettore onnivoro, abituato a scorazzare in libertà tra più generi letterari, riconoscerà come familiare il modulo narrativo utilizzato: una solida ossatura portante non dissimile - per struttura, sceneggiatura e psicologia dei personaggi – a quella di svariati bestseller puntualmente etichettati come thriller.

 

Ne dubitate? Facciamo una prova. Un giochino semplice. Vi propongo un canovaccio.

Un selezionato team di professionisti (militari, supportati da alcuni operativi di intelligence e consulenti scientifici) viene spedito in missione in una regione impervia, allo scopo di debellare la minaccia che si cela nella base nemica. Ma le forze che li accolgono sono soverchianti, la loro potenza bellica imprevista, fatalmente sottovalutata. E’ strage.

Si salvano, a stento, in quattro. Un fallimento che sospende ulteriori interventi. E che bolla il futuro dei sopravvissuti. Una cicatrice mal rimarginata, dolorosa, nei loro animi. Il ricordo dei compagni massacrati da impressionanti avversari non sbiadisce. Rimane vivido dopo anni. Tre di loro, professionisti della guerra, decidono di saldare il conto con il loro destino. Il quarto, che nel frattempo si è ritirato dal servizio attivo, isolandosi dal mondo e dai contatti umani, rifiuta di seguirli. Per paura, per cinismo, per un senso di inutilità…

E’ un appuntamento rimandato.

Un misto di sentimenti ed emozioni, curiosità, moralità, sete di vendetta e pulsione alla verità, di motivazioni confuse a lui medesimo, spinge il reduce a tornare in campo; ad aggregarsi come esperto ad una nuova folle missione, osteggiata da più parti. Allora scoprirà che il nemico è tra noi, e che il cammino per la verità è lungo, tortuoso, pericoloso… Doloroso.

E’ il tipico plot di un thriller d’azione, di una spy story? Giusto?

Beh, cambiando qualche sostantivo, ricalca fedelmente (banalizzandolo, sia chiaro) quello di La rocca dei silenzi.

Non siete convinti? Consentitemi di aggiungere altri tre paralleli. 

1) Nel romanzo c’è la “classica” torre dei maghi del fantasy, qui chiamata Torre di Dòthrom. Non è la “torre dei buoni”, da contrapporre in modo manicheo ad Ammothàd, la Rocca dei silenzi. No, Dòthrom è un centro di potere e conoscenza. Come tale, dietro facciate ipocrite, è anche corrotto, percorso da correnti antagoniste. E’ una struttura nota al mondo per la sua valenza, ma solo pochi hanno accesso alla Torre: i Fruitori di magia e i loro servi. I meandri di Dòthrom celano segreti vecchi e nuovi. Quando poi diventa palese che l’organizzazione dei Maghi è tumorizzata da un gruppo che agisce autonomamente all’interno della struttura, ai vecchi amanti della spy story viene naturale pensare al modulo della “branca deviata della CIA”. Manco a dirlo, anche in questo romanzo, gli attori non lesinano inganni e violenze pur di celare o acquisire la verità.

Ma anche Ammothàd, in realtà, cela un mistero profondo. Il vero obiettivo non sarà infatti solo eliminare un pericoloso avversario, dimostrando ai popoli che non si può permettere l’esistenza del “Male”, quand’anche confinato. Si tratterà di arrivare al tenebroso cuore della rocca, per carpirne e capirne l’anima. Per ottenere la verità, ad ogni costo.

2) Per affrontare la seconda missione ad Ammothàd, viene selezionato un nuovo manipolo di volontari. Guerrieri di ogni razza, ognuno motivato a modo suo: i più per denaro, gli altri per gloria, per dovere, per vendetta, per ragioni insondabili, perfino per amore. Le fasi dell’arruolamento, l’assenza di trasparenza sugli scopi della missione e sui suoi reali pericoli (la maggior parte di loro è già strategicamente destinata al macello), la reazione dei superstiti: sono tutti aspetti che richiamano alla memoria i mercenari presenti in tanti romanzi e film avventurosi.

3)  Thal Dom Djèw, il Fruitore di Magia sopravvissuto della prima spedizione, è così differente dall’ex professional di turno (spia operativa, soldato dei gruppi speciali, agente di polizia che sia…) che, volente o nolente, si ritrova di nuovo in mischia nonostante tutto il suo sarcasmo, la sua rabbia, la sua acquisita misantropia?

 

Inutile citare altri esempi. Ormai ci siamo capiti.

Per gli appassionati di thriller che non avessero mai osato avventurarsi in scenari non mimetici o pseudo tali, questa è una ottima occasione per provare il fantasy. Con la garanzia aggiunta che D’Angelo non ci propina un mondo dove la magia, pur ben presente, consente qualsiasi soluzione e scenario. Cambiano le caratteristiche del mazzo di carte, ma la partita è quella. La gioca l’Uomo. Con le sue pulsioni, le sue scelte. La sua muliebre natura. Tra ragione e follia.

 

Anche se sono convinto che La rocca dei silenzi rientri nella sfera d’interesse di ThrillerMagazine, sono però portato a ritenere che Andrea D’Angelo non si sia svegliato un giorno e abbia pensato Adesso scrivo un “thriller fantasy”, mettendosi di buzzo buono per coniugare le caratteristiche salienti dei due generi, per armonizzarle a dovere.

No, non è una commistione voluta, cercata. Infatti, non viene rimarcata ne’ nel risvolto di copertina, ne’ nella postfazione. Eppure c’è. E va segnalata ai lettori, quale sia la sua genesi.

L’autore si è posto degli obiettivi ben precisi: affrontare una tematica di grande attualità, sfruttando le tradizionali proprietà allegoriche del fantasy.

Da scrittore capace e puntiglioso qual è, ha però subito intuito che la storia che voleva narrare, anche attraverso una marcata caratterizzazione dei protagonisti, necessitava di una trama solida, intrigante e adeguatamente incalzante. I ritmi del fantasy classico, troppe volte “allungati” oltre misura, non erano per niente adeguati a questo contesto.

L’intreccio che ha progettato, e ben sviluppato, per ottenere un romanzo auto-conclusivo (particolare da sottolineare, considerato il “pericolo” ;) delle saghe infinite) e ad alta leggibilità senza venir meno agli intenti è, alla resa dei conti, quello proprio del thriller. In questo inconsapevole confronto, D’Angelo ne viene fuori bene, come solo un narratore dotato può fare. Si ha la sensazione, è vero, di alcune sporadiche sbavature nel dipanarsi dell’intrigo, ma sono dettagli poco significativi rispetto alla maturità generale del testo, alla sua buona innovazione.

Come in ogni thriller riuscito, uno degli aspetti migliori è l’idea di fondo, che emerge lentamente, attraverso indizi, ma che si svela completamente solo alle battute finali. Aspetto che non si può anticipare, senza defraudare l’autore dei suoi sforzi e il lettore del suo interesse.

Mi limiterò a dire che La rocca dei silenzi s’impegna ad affrontare un soggetto odierno, terreno di scontro piuttosto che di incontro tra etiche differenti. Lo fa in modo egregio, senza concedersi a dicotomie, senza farci pesare – ne’ in modo diretto ne’ indiretto – l’intrigante parere dell’autore.

E poi, ha il coraggio di farlo utilizzando il fantasy. Una scelta che spero risulti premiante, non solo per l’autore ma anche per l’editore. Solo in tal modo, potremmo noi lettori leggere sempre più opere italiane che osino uscire dagli schemi.

 

Ne verrebbe fuori un signor film, da questo La rocca dei silenzi.

Fortemente caratterizzato da situazioni claustrofobiche, ricco di interni sfumati d’ombra e luce malata. Ma anche, a tratti, prodigo di incantevoli scenari naturali, in occasione delle faticose marce da Dòthrom ad Ammothàd.

Di grande impatto risulterebbero i primi piani ad effetto sui volti, sugli sguardi (... e penso soprattutto a quello di Mordha, l’imperscrutabile sicario). Finestre su dialoghi efficaci.

E poi, i personaggi. Credibili, talvolta confusi, contradditori nei pensieri, nelle parole, nei comportamenti. Come lo siamo noi, ogni giorno. Chi tanto, chi poco. Ma tutti. Lo vogliate ammettere, o no.

Soprattutto, sarebbe una pellicola percorsa dalla suspense. Quella dell’intrigo, certo, ma anche quella dell’azione serrata che caratterizza la seconda parte del romanzo, quando i nostri penetrano nelle visceri di Ammothàd, e la loro ricerca diventa nel contempo lotta per la sopravvivenza. 

Conclusione?

Un libro che fa riflettere, senza imporre considerazioni personali.

Un esempio di narrazione intelligente, il cui “impegno” cavalca l’evasione. Un destriero magari non di razza, ma ben piantato, robusto, veloce. Che ci conduce, prima al passo, poi al trotto, quindi al galoppo, fino alle pagine finali.

Un fantasy pregevole, coraggioso. Un thriller non impeccabile, ma intrigante e di buona fattura. Di sicuro, originale nel suo connubio.

Tirando le somme, un ottimo romanzo, da consigliare. Anche da queste parti.