Pierre Lemaitre, professore di lettere in pensione, è stato il vincitore del premio Goncourt 2013 con Ci rivediamo lassù (Mondadori).
Un romanzo “epico” che si inserisce a pieno titolo nel grande filone della tradizione del romanzo ottocentesco. Sufficiente leggere la nota dell'autore in cui menziona gli autori citati più o meno chiaramente.
Una storia che inizia nel 1918, ultimo anno della prima guerra mondiale visto dal fronte francese, per proseguire fino al 1920 narrando le vicende di due reduci che trascinano le loro vite nell'indigenza più assoluta. Entrambi sono vittime sacrificali delle smanie di gloria di un ufficiale che non esita a uccidere i propri soldati pur di fregiarsi del titolo di Eroe. La sua, una scalata che sembra inarrestabile, basata sulle truffe a danno del governo e delle famiglie dei caduti. I due reduci riusciranno a prendersi una rivincita, ognuno a modo proprio.
I quadri d'insieme si alternano alle scene delle descrizioni dei luoghi e al tratteggio dei vari personaggi, anche minori, lo stile è
Il romanzo si potrebbe definire un grande e tragico noir, dove non manca ogni genere di crimine.
Lemaitre, ovvero il Maestro, per un gioco di parole quanto mai appropriato, ha iniziato a pubblicare tardi, verso i sessant'anni. Ma la vera novità è che i suoi precedenti romanzi, di cui uno non ancora pubblicato in Italia, sono tutti polar, ovvero romanzi polizieschi o gialli, come diciamo noi.
Stranissimo quindi che uno scrittore di “genere” vinca un premio tanto celebre e ambito. In un'intervista rilasciata a Anais Ginori per Repubblica, Lemaitre risponde convinto che “esiste un vecchio pregiudizio secondo cui se scrivi un romanzo giallo sei un autore, mentre se fai la letteratura “bianca” sei un vero scrittore. Ora forse questa artificiale distinzione di genere sarà superata”.
Speriamo, aggiungo io, ma senza troppa convinzione.
“Ci rivediamo lassù” come romanzo d'avventura? Romanzo popolare? Si chiedono i critici per mettere un'etichetta al nuiovo arrivato nell'empireo della letteratura “alta”.
Lemaitre cerca di abbattere steccati duri a morire, domandandosi se il contrario di popolare è la letteratura d'elite, intimista. Accetta la definizione se nel romanzo popolare si ascrivono autori come Hugo, Dumas, Manzoni. E proprio a proposito di Hugo, mi viene in mente il nostro Camilleri che in un'intervista recente ha avuto a dire che se fosse vissuto oggi Hugo scriverebbe noir.
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