La notte del gatto nero potrebbe essere riassunto così: Jean-Patrick Manchette scrive Leonardo Sciascia. Ci sono la Sicilia - isola nell'isola - il genere letterario come pretesto e il tema giudiziario, elementi tipici dello scrittore di Racalmuto e l'esattezza cristallina che è la cifra stilistica dell'autore francese.
Antonio Pagliaro racconta la storia della famiglia di Giovanni Ribaudo: un onesto borghese - "piccolo piccolo" - insegnante in una scuola paritaria e una moglie religiosissima, due archetipi antropologici meridionali che vengono risucchiati nel vortice delle vicende giudiziarie del figlio, altra figura paradigmatica, ma questa volta non riferita al solo meridione ma al Paese intero; la voglia del ragazzo di scoprire il mondo come antidoto all'inerzia rimanda a una globalizzazione che nel 2003, anno in cui è ambientato il romanzo, era già l'aria che respirava la nuova generazione e il vento che sferzava la vecchia.
Uno stile così essenziale, dove tutto è azione e niente è superfluo, ha come conseguenza non solo una piacevole fluidità di lettura, ma anche la capacità di mettere a fuoco le psicologie dei personaggi e fissare, con facilità e senza intrusioni di qualsiasi tipo da parte dell'autore, i nodi tematici. Per esempio, è chiaro il nocciolo della questione mafia: esiste e prolifera dove manca lo Stato. La mafia appare come uno Stato non laico che non ha bisogno di chiese, municipi o sportelli al pubblico: arriva direttamente al cittadino attraverso l'etere del bisogno.
La realtà di questo romanzo è vivida e opprimente, senza via d'uscita che non siano la morte e/o la metafisica religiosa: due soluzioni che mal si abbinano a problemi di più immanente quotidianità.
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