Dopo Lupi di fronte al mare – sempre uscito per edizioni e/o nella collana sabot/age, diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto – torna il personaggio letterario ideato da Carlo Mazza, il capitano Antonio Bosdaves, per l'undicesimo gioiello della collezione: Il cromosoma dell’orchidea.
Diversi sono i personaggi che concorrono all’intreccio di questo romanzo corale che svela abusi edilizi, corruzione, potentati. La storia parte con il patto illecito cui il candidato sindaco Gabriele Lovero presto si piegherà, nonostante la sua diffidenza e la riluttanza del vicesindaco Pasqualina Bernaus. Quello che gli viene proposto rimanda agli eterni rimbalzi del do ut des: la sua giunta dovrà – in sostanza – chiudere un occhio per favorire le manovre illecite sostenute da un gruppo di imprenditori e sodali che gravitano intorno a un certo Barracane. Già il soprannome anticipa la personcina, come ricorda una battuta che circola in città: «Barracane, figlio di un barracuda e di un pescecane». La vicenda di Bosdaves all’inizio sembra sfiori un binario solo parallelo rispetto a quella delle elezioni cittadine, anche perché il capitano ha questioni ben più personali da risolvere, prima tra tutte quella di una moglie titubante a riaccoglierlo in casa e foriera di nuove richieste. Vuole fare l’attrice, dice: l’attrice in parrocchia. E pare che abbia pure un discreto talento.
Poi c’è la storia strana del giurista ambientale Lorenzo Vinciguerra, sui cui Bosdaves, suo amico d'infanzia, indaga. Si tratta di un presunto suicidio: un giorno il suo corpo fu ritrovato nella cava del Nazareno, per la cui riqualificazione il giurista si era battuto a lungo. Proprio in quell’ “antro dalle parvenze infernali” che nasconde il segreto di quella morte misteriosa fioriscono meravigliose orchidee. Del resto Vinciguerra poteva essere personaggio scomodo per parecchi, visto il suo temperamento:
«Un uomo che credeva in una visione condivisa dello sviluppo sostenibile e si batteva per contrastare le consuete pratiche predatorie. Un leader naturale, che trascinava per la limpidezza delle scelte e l’eloquenza, il dono che Aristotele riteneva sprigionasse dalla verità. Mille uomini come Vinciguerra e il nostro paese cambierebbe».
Della forza narrativa di Carlo Mazza – nato a Bari nel 1956, bancario da 35 anni e appassionato di scrittura teatrale – Bluffi aveva parlato per il Venerdì di Repubblica, riferendosi al primo romanzo come a un “Gomorra del Levante”. Ecco, questo secondo contributo prosegue lungo la linea di denuncia che già aveva caratterizzato il precedente lavoro e che connota la filosofia della collana. Le costruzioni che non tengono conto del rischio idrogeologico saranno viatico per la catastrofe, in cui lo scrittore ci precipita nelle ultime pagine. Un disastro in parte miracolosamente arginato e non vi anticipo perché, così come non anticipo come verrà risolto il titolo.
L’autore procede con una scrittura sapiente e precisa, giostrando i molteplici personaggi dotati di propria linfa vitale e corposità – sia che si tratti di un uomo retto o di un uomo corrotto, sia che si tratti di un americano alto quasi due metri o di una suora – collocandoli in un’ambientazione ben delineata. Ottimi i dialoghi e le pennellate che descrivono gesti, contrarietà, esitazioni, perfino la mentalità mascherata di un popolo smemorato che da troppi secoli va a braccetto con omertà e senso fittizio dell’onore:
«La (regola) più importante è la gratitudine! Nero su bianco, non è stabilita da nessuna parte. Ma un uomo che si dimentica di chi lo ha aiutato, per me non è un uomo».
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