(Luca Crovi con la complicità di Beppe Sebaste e Rock Reynolds
-- Tratto da Noir istruzioni per l'uso di Luca Crovi - Garzanti) vedi in notizie/14965
Mi è capitato spesso di chiacchierare con Massimo Carlotto della nostra comune passione per il detective Dave Robicheaux creato dallo scrittore James Lee Burke. Un personaggio davvero singolare che fra le pagine del romanzo L’urlo del vento così parla della realtà che lo circonda: «Perché una persona viene risparmiata e un’altra no? Se è vero che l’età porta la saggezza e risposte ad antiche domande, con me deve aver fatto un’eccezione. Ma ho smesso di interrogarmi sui grandi misteri della vita. Vivo in un luogo in cui i soldati della Confederazione con indosso uniformi lacere baluginano ai margini del campo visivo, ricordandoci che il mito dei cavalli alati e dei guerrieri greci dà ancora forma alla nostra coscienza collettiva, che la nostra storia è fatta di antichi dèi e antichi popoli ed è impossibile separarla dalle nostre storie personali. Non è poi male vivere con una scenografia come questa».
Dave Robicheaux è un uomo tutto d’un pezzo, un moderno cowboy solitario che si trova a operare nel distretto di polizia di New Iberia, a due passi da New Orleans. Come ha acutamente scritto Giancarlo De Cataldo in un suo articolo apparso sull’«Unità» il 31 marzo 2008, quella ideata da James Lee Burke potrebbe apparentemente sembrare «una delle tante saghe a cui il poliziesco americano ci ha abituato negli ultimi anni. Prendi un detective dal passato torbido, in questo caso ex alcolizzato e per giunta cattolico in un paese protestante, mettilo dalla parte giusta, ma con una capacità, acuita da anni di lotta per le strade, di compenetrarsi nel modo di pensare dei cattivi. Costruiscigli intorno un mondo di affetti saldi: una giovane moglie ex suora, una superiora lesbica con cui condivide l’odio per il Male e la tenace volontà di combattere le tante ingiustizie sociali che il neoliberismo si lascia dietro come una viscida bava corrosiva, un vecchio procione domestico a tre zampe e un gatto rissoso, simboli della purezza incontaminata e istintiva della Natura, una figlia adottiva scampata agli eccidi degli Squadroni della Morte di una narcodittatura sorretta dai dollari yankee, un socio ex marine schizzato e tossicofilo, e costantemente innamorato della psicopatica di turno. Ambienta il tutto in uno scenario poco frequentato – nel caso, le paludi della Louisiana – e la formula dovrebbe garantirti il successo: uno o due romanzi all’anno, premi, prima o poi l’immancabile trasposizione cinematografica, e il gioco è fatto. Ma i romanzi di James Lee Burke sono un’altra cosa. I romanzi di James Lee Burke non si possono confinare nel recinto del genere, sia pure di buona fattura. I romanzi di James Lee Burke pescano a fondo nel Mito, odorano di divinità scomparse e di eroi tanto inossidabili quanto tormentati. I romanzi di James Lee Burke dipingono l’America per quello che è, un luogo di violenza ma anche di tenerezza che non t’aspetti, e sono, soprattutto, grande letteratura». Concordo in pieno con quello che ha scritto De Cataldo e vi basterà romanzi come Pioggia al neon, Sunset Limited, Prima che l’uragano arrivi, L’urlo del vento, La ballata di Jolie Blon per comprendere il perché. E se amate il western e la presa di Alamo in particolare recuperate anche l’eccezionale Due per il Texas. Mi è capitato di intervistare una sola volta James Lee Burke, in compagnia del mio amico Rock Reynolds, seguendo le suggestioni di alcune domande di Beppe Sebaste, e quello che state per leggere è un frammento di quell’incontro speciale.
Fin dai tempi di Mark Twain e di Henry James, il romanzo americano è stato preso a modello in tutto il mondo, proprio come la sua industria cinematografica. Credo che il motivo stia nel fatto che la storia americana è essenzialmente una storia esistenziale. Quanto all’ambiente naturale, sia quello rurale che quello urbano, esso diventa un protagonista delle mie storie, un’entità viva. Credo che tutti gli essere umani siano plasmati nel corso dell’infanzia dalle condizioni ambientali in cui si trovano a crescere.
Dave Robicheaux è scaturito da un paio di romanzi scritti e mai pubblicati che, in seguito, ho messo insieme, creando Pioggia al neon. Erano quattordici anni che i miei libri mancavano dal mercato, e in un certo senso devo a Pioggia al neon il mio ritorno. Quel libro mi ha decisamente cambiato la carriera. Robicheaux è molto simile ai cavalieri erranti tra medioevo e rinascimento.
La sua origine va ricercata nel teatro elisabettiano: è l’eroe tragico che deve la sua rovina alla sua stessa tracotanza. Inoltre è un «Blue-collar» il che significa che fa parte anche lui della classe operaia, di quei lavoratori di umili origini che hanno fatto l’America. Robicheaux è l’uomo comune secondo l’etica medievale, uno che Dante e Boccaccio riconoscerebbero subito. L’ho soprannominato «Streak» per via della ciocca di capelli bianchi, scolorita per la malnutrizione dell’infanzia.
I miei libri sono allegorici, e le storie che raccontano sono concepite per rappresentare problematiche più grandi. Spesso sono molto politiche. I miei criminali sono individui che simboleggiano le energie distruttive che operano nella nostra società, sia negli USA che nel resto del mondo, negli ultimi trent’anni. I primi tre libri della serie di Robicheaux sono stati concepiti come una vera e propria trilogia. Mi sono ispirato al modello del Paradiso Perduto e Riconquistato di Milton. Ovviamente non intendo mettermi al livello di John Milton, sto semplicemente dicendo che quei tre libri hanno al loro centro la discesa nell’abisso, nei gironi danteschi, prima di raggiungere la pace e la serenità, cosa che vediamo nel terzo libro, Black Cherry Blues.
Le mie influenze sono tutte letterarie. I miei ispiratori primari sono stati William Faulkner, Flannery O’Connor, Eudora Welty, James T. Farrell, Ernest Hemingway, Tennessee Williams, i poeti gesuiti… santo cielo, ora mi sfuggono… ecco, Gerard Manley Hopkins mi ha influenzato profondamente. Di certo sul piano stilistico sono stato influenzato da Scott Fitzgerald. Gli scrittori USA oggi hanno un vantaggio enorme perché la letteratura mondiale negli ultimi cento anni è stata influenzata da alcuni dei migliori scrittori del mondo, tutti americani.
La musica è importantissima nei miei libri perché è parte integrante della tradizione orale del Sud degli Stati Uniti. E la storia del Sud degli Stati Uniti, in fondo, è la storia degli Stati Uniti. Tutto quello che è successo al Sud è successo anche al Nord e all’Ovest, solo che nel Sud è più recente.
Ho dedicato due romanzi alla devastazione dell’uragano Katrina, Prima che l’uragano arrivi e L’urlo del vento. Ciò che è accaduto a New Orleans rappresenta il più grande scandalo della storia politica americana. Si è trattato di un crimine e non semplicemente di una catastrofe naturale. Io la vedo così, anche se non tutti sono d’accordo. Ho raccontato le vicende di Katrina attraverso gli occhi di un prete, un vero prete che è morto per essersi rifiutato di abbandonare i suoi parrocchiani, gente poverissima che in buona parte non possedeva automezzi ed è rimasta intrappolata nelle loro case. Lui è morto con loro e il suo corpo non è mai stato ritrovato. La storia di quest’uomo è la trave portante del mio romanzo, che ritengo uno dei migliori che io abbia scritto. Credo che gli eventi accaduti a New Orleans indichino indifferenza e abbandono nei confronti dei poveri e derelitti. Non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse verificarsi nei confini degli Stati Uniti e invece è successo.
Personalmente, penso che esista un mondo spirituale che si nasconde dietro quello materiale. Credo che il mondo invisibile sia esattamente sotto quello visibile. Credo che i morti siano ancora con noi. Sono convinto che il tempo non sia sequenziale. Credo che futuro, presente e passato siano un’entità sola. Credo che nulla di ciò che consideriamo come vera realtà sia affatto una realtà.
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