Mentre Pierre Lafitte continua a proporre sulla sua rivista “Je sais tout” storie straniere a tinte forti, come Le collier du mort di Fred M. White – in originale A Slave of Mammon, in seguito raccolto nell’antologia Craven Fortune (1908) – lo stesso pressa Maurice Leblanc perché sforni quanto prima un’altra impresa di quel personaggio che tanto pare essere piaciuto al pubblico, con il suo misto di criminalità ed umorismo. Seppur reticente, l’autore cede e scrive Arsène Lupin en prison (15 dicembre 1505) e L’évasion d’Arsène Lupin (15 gennaio 1906), chiudendo una ideale trilogia di racconti che iniziano con l’arresto del personaggio e, dopo che questi agisce anche dalla cella, finiscono con la sua evasione. Questi sono inoltre i tre racconti più frizzanti (dove non addirittura umoristici) dell’intera produzione, quando cioè più dell’enigma è importante il modo divertito e paradossale con cui questo viene raccontato.
Ma chi è Arsène Lupin? Semplice, è per Leblanc quello che Gargantua era per il suo autore Rabelais: un eroe improbabile di mille assurde imprese, cioè un’occasione insostituibile per divertirsi un mondo in faccia ai lettori “seri”! Credete che Sherlock Holmes sia una cosa seria?, dev’essersi detto Leblanc, allora vi sfido a prendere seriamente il mio Lupin.
Egli è «ladro, e sia, ma anche per diletto. Lavorava per gusto e per vocazione, certo, ma anche per divertimento. Dava l’impressione del signore che si diverte nella commedia che fa rappresentare e che, dietro le quinte, ride a squarciagola delle sue battute, e delle situazioni che immagina» (da L’arresto di Arsenio Lupin).
Egli non ha bisogno di assistere ai propri crimini: essi si perpetrano da soli.
Egli usa grande cortesia alle sue vittime, chiedendo prima se esse siano disposte per favore a fargli avere già imballati gli oggetti che vuole rubare, così da non dover essere costretto alla volgarità del furto.
Quando lo vanno a trovare in galera, si scusa di non poter offrire nulla bere: in fondo, dice, «sono qui di passaggio».
Se da una parte l’autore si affida alle basi del giallo classico – dove nascondere un documento? Ovvio, in bella vista: Poe e Chesterton insegnano! – dall’altra in questi primi racconti si lancia in una divertita parodia di criminale la cui vittima principale... siamo noi lettori!
Quando bussano alla porta del barone Satana, fenomenale collezionista che custodisce in casa grandi tesori pittorici, noi lettori ce lo immaginiamo già che è Lupin travestito, e Leblanc sa che noi sappiamo. Quando il barone esamina il postino davanti l’uscio, sappiamo tutti – noi e l’autore – che quello è il ladro gentiluomo travestito: cosa potrà mai dire per uscire fuori da una situazione scontata? «Sono sempre io, signor barone. Non sono un altro che avrebbe preso il mio camice e il mio berretto»: con questa geniale presa in giro, Leblanc se la ride di noi e della nostra astuzia, dimostrando che Lupin è un passo avanti a tutti... anche ai suoi lettori!
«Peccato, comunque, di non essere una persona onesta» confessa divertito Lupin quando Ganimard lo arresta la prima volta. In realtà ben presto Lupin perderà man mano la sua essenza criminale per diventare sempre più “buono”, seguendo quel destino che sembra obbligatorio per tutti i protagonisti “cattivi”. Da Rocambole a Raffles, dal Santo al nostrano Diabolik, i protagonisti malvagi iniziano le loro avventure dedicandosi ai crimini più efferati per poi, man mano, trasformarsi in eroi positivi. «Forse è legge legata all’età anagrafica degli autori iniziare dalla trasgressione più radicale per approdare al conformismo, o comunque al compromesso» ipotizza Valerio Evangelisti nella sua introduzione al volume Arsène Lupin e la contessa di Cagliostro (Einaudi 2005).
Ma, come vedremo nella prossima puntata, è giunta l’ora di parlare di Sherlock Holmes...
(Continua)
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