Lorenzo Beccati passa le sue giornate a dar voce al Gabibbo di “Striscia la notizia” ma anche nelle sale di doppiaggio delle gag di “Paperissima”. Per ricaricarsi, distrarsi e divertirsi qualche anno fa ha scoperto di avere un talento naturale per i thriller di ambientazione storica. Sono così nati i fortunati “Il guardiano di maiali”, “Il mistero degli incurabili”, “L’assassino di seta”. Con il recente “Pietra è il mio nome” (Nord) Lorenzo Beccati trasporta i lettori nella Genova del 1601 offrendo loro una nuova originale protagonista come la Tunisina che è una rabdomante. La pubblicazione di questo avvincente romanzo ci ha fornito l’occasione per porgere a Beccati alcune domande sul suo immaginario.
Quando è nata la tua passione per la letteratura thriller?
Io sono un lettore polifago e mi sono imbattuto nella letteratura thriller da ragazzino. Tali romanzi erano per me un divertimento puro e una sfida con l’autore. Lui cercava di fuorviarmi e io dovevo indovinare l’assassino ben prima delle ultime venti fatidiche pagine.
Che ritratto viene fuori di Genova da “Pietra è il mio nome”?
All’epoca Genova era una delle più grandi potenze del Mediterraneo, ma questo non la salvava dalle bassezze, dalle trame oscure e dalle vendette che si consumavano tra i carruggi. Una Genova, allora come ora, pregna di Misteri.
Ci puoi descrivere la Tunisina?
La tunisina è una lottatrice. E lo fa nascondendo la sua intelligenza e capacità deduttiva dietro una bacchetta da rabdomante. E’ capace di fingersi indifesa come un pulcino bagnato per trarre in inganno i nemici e colpirli senza pietà quando abbassano la guardia. Pietra è una donna moderna che vive in un secolo buio.
E' destinata a diventare un personaggio seriale?
Direi di sì. Pietra e la sua bacchetta hanno altri misteri da scoprire.
Quanto l'universo femminile è importante nel tuo romanzo?
Nel mio romanzo,le donne sono la parte migliore della società, proprio come oggi. Nel ‘600 Le femmine avevano un ruolo subordinato rispetto agli uomini, ma Pietra si ribella in modo silente ai pregiudizi.
Com'erano visti i rabdomanti nel Seicento?
I rabdomanti erano impiegati in molti casi. Per trovare acqua, miniere di metalli, persone scomparse, cadaveri, curavano persino le malattie. Venivano persino interpellati per scegliere il colore della tappezzeria nuova. I rabdomanti erano ben visti, ma dovevano stare molto attenti a non oltrepassare i limiti. L’accusa di stregoneria era sempre in agguato. Molti di loro finirono sul rogo.
Davvero si trafficava in reliquie all'epoca?
Sì, intorno al 1600 le false reliquie pullulavano. Era un commercio fiorente che non si curava degli anatemi della Chiesa.
Hai una passione speciale per gli assassini, come li crei?
Io sono dalla parte dei buoni. Dunque sto con chi gli assassini li trova e li rende inoffensivi. Perché lo scontro sia coinvolgente, però, disegno gli assassini con cura, dando loro la stessa capacità dell’antagonista, l’indagatore. O in questo caso, della rabdomante.
Come hai cercato di dipingere il Carnevale del 1601?
Ho trovato dei bellissimi disegni che riproducevano le sfilate del Carnevale dell’epoca e li ho tradotti in parole.
Hai descritto in maniera incredibile la vita delle galee come le hai studiate?
Come sempre: libri e e cronache dell’epoca, spulciando negli archivi di Genova, musei…
Quali erano i veri rapporti fra i pescatori liguri e i mussulmani?
I tunisini erano ostili, poiché i genovesi erano venuti a estirpare il corallo dal fondo del loro mare. La vicenda ebbe un tragico epilogo: i liguri rimasti furono tutti trucidati.
In "Pietra è il mio nome" fa una piccola apparizione Pimain il protagonista dei tuoi precedenti romanzi, pensi di regalargli prossimamente una nuova avventura?
L’apparizione del guaritore di maiali è stata tagliata nella versione finale. Forse per conservarlo per una nuova storia tutta sua.
Quando scrivi un romanzo hai uno schema del plot che svilupperai o lavori in maniera emozionale non sapendo come la domanda andrà a finire?
Parto con una trama ben delineata, con particolare cura per il finale. Poi mi lascio trasportare dalla stesura che spesso mi trascina lontano.
Nei panni del Gabibbo ti senti un po' detective?
Il Gabibbo ha scoperto centinaia, se non migliaia, di sprechi, incompiute, magagne. Un grande detective davvero. Il suo rammarico è di non aver ancora trovato chi ha nascosto il bottino.
Scrivere thriller ti ricarica dal lavoro televisivo?
Il lavoro in tv è un lavoro collettivo, mentre il libro è una spietata prova solitaria.
Come trovi gli spunti delle continue battute del Gabibbo e degli altri interpreti di Striscia la Notizia?
Mestiere, una punta di talento e la fortuna di un lavoro collettivo.
Ci puoi parlare un po' di un titolo originale come “74 nani” russi che a me è piaciuto molto ma è passato un po' in sordina?
La storia è pura follia: la ricerca attraverso la Russia del ‘700 di 74 nani per farne gli invitati del buffone di corte. E’ un romanzo molto di nicchia, ma che reputo ben costruito.
Com'è nata la sfida di una storia come "Il faro delle lacrime"?
Volevo dimostrare di essere in grado di scrivere un buon thriller ambientato ai giorni nostri, e non solo nel passato. Con Pietra sono tornato nel 1600, un secolo in cui mi trovo a mio agio.
C'è un romanzo che vorresti scrivere ma per il quale non hai ancora trovato il giusto sviluppo?
Sto affrontando la scaletta di un romanzo sul mentalismo e l’ipnosi. Ho delle difficoltà nella trama: troppa abbondanza di spunti e sollecitazioni. Ne uscirò vivo?
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