Una quadrilogia con un romanzo per ogni stagione. Dopo l'autunno rappresentato da Il segreto di Raffaello (2008), l'inverno da Pontormo e l'acqua udorosa (2010), arriviamo alla primavera con Benvenuto Cellini e il ricciolo indiscreto, tutti pubblicati dall'editore Dario Flaccovio.
Protagonista di tutte e tre le storie è La stramba, una giovane contadinella-detective dal toscanissimo nome di Esterrina. Adottata da una famiglia di contadini, ama leggere ed ascoltare musica – lei che ha l'orecchio assoluto – è intelligente e un'attenta osservatrice, ma deve inventare mille stratagemmi per poter indulgere alle sue passioni, tutt'altro che comprese, e dalla sua famiglia e dal paese intero che le ha affibbiato l'evocativo soprannome.
Poco importa la storia e l'intreccio per altro ben costruiti, quanto piuttosto il riuscire a rappresentare un ambiente, la Toscana della fine del 1800 – in questo romanzo siamo nel 1899 – rappresentato da Querciaio, un paese della provincia fiorentina, con tutti i suoi abitanti, le loro relazioni, i loro caratteri. Da una parte vengono descritte le tradizioni religiose, il cui fulcro è rappresentato dalla chiesa e dall'immancabile prete, Don Pietro, che ascoltando e confessando, riesce anche ad aiutare i propri parrocchiani suggerendo, consigliando e molto più spesso rimproverando e ordinando; dall'altra vengono descritte le tradizioni "pagane" legate al trascorrere delle stagioni, alle semine, agli animali delle varie case di campagna, alla sapiente arte della raccolta e dell'uso delle erbe medicinali e al parlato. Sì, perchè questo romanzo è scritto in vernacolo, con i modi di dire di quei tempi e di quelle zone, il cui fulcro è la piazza antistante la chiesa dove i paesani si ritrovano e spettegolano. Ma il pettegolezzo – il mezzo informativo più potente del tempo – è descritto in maniera corale, con più voci che permettono di ascoltare i particolari della storia, voci che sono accompagnate da brevissime e calzanti descrizioni che caratterizzano il personaggio che parla e che danno al lettore la sensazione di "vedere" e di immaginare l'azione, come se si trovasse lì, anche lui, a far parte di questa coloratissima coralità.
È in questo modo che procedono le indagini di Esterrina, messe a dura prova dai pettegolezzi, ma anche dalle consuetudini di quel tempo che imbrigliavano la donna – e ancora di più se giovane – che non poteva avere molta libertà d'azione considerati i compiti che doveva assolvere a casa e l'indiscussa autorità del capofamiglia (che nel suo caso non era nemmeno il padre ma lo zio).
L'unico aiuto le arriva da Don Pietro, ligio al dovere certo, sempre pronto a brontolare, ma che riconosce nella giovane un'intelligenza viva e mai banale.
Lucia Bruni racconta di una Toscana che non esiste più, con un linguaggio che a molti di coloro che lo leggeranno ricorderà i nonni (il capitolo Le erbe dell'Armida è infatti un omaggio alla nonna della Bruni, presa e messa nel racconto), con feste e ricorrenze che oggi abbiamo quasi completamente dimenticato, dove chi era istruito meritava rispetto ma anche tanta diffidenza.
Una ricerca accurata e curiosa sui quotidiani dell'epoca, un uso ancora più attento della lingua – i libri della Bruni sono ospitati nella biblioteca dell'Accademia della Crusca – riportano indietro nel tempo, dove l'unica cosa che forse è rimasta identica è il lato oscuro delle persone, la predisposizione all'inganno e alla prevaricazione.
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