“Una nuova indagine per Wallander” strilla il (parzialmente ingannevole) bollino rosso di copertina per invogliare il lettore ad acquistare questo smilzo romanzo dell’impagabile Henning Mankell.
In effetti per nulla nuova è questa indagine dell’ottimo commissario, congedatosi definitivamente dal pubblico dei lettori con L’uomo inquieto, la cui storia editoriale è raccontata, quasi per intero, dallo stesso autore in una nota finale.
Riassumiamo, dunque, e integriamo con altre informazioni in nostro possesso, peraltro facilmente reperibili in rete.
La storia, commissionata a Mankell da un editore olandese nell’ambito di un concorso per avvicinare le persone alla lettura, è ambientata a fine 2002 e viene pubblicata in nederlandese nel 2004; il sito non ufficiale www.inspector-wallander.org lo segnala peraltro da anni all’interno del ciclo, ma, a differenza degli altri titoli, non sembra essere stato tradotto in alcun’altra lingua, europea e non, e neppure edito in svedese.
Intanto la serie vera e propria è andata avanti, con i suoi nove romanzi e con Piramide, una raccolta di cinque più brevi avventure di Wallander. L’attore britannico Kenneth Branagh, com’è noto, abbandonando per qualche tempo i suoi amati percorsi shakespeariani, decide, a partire dal 2008, di portare sul piccolo schermo per la BBC il commissario svedese: e nel 2012, nella terza serie, viene riesumata la storia “olandese”, anche se adattata e con un altro titolo (An Event in Autumn).
Mankell, che evidentemente aveva ritenuto fino a quel momento La mano una di quelle opere scritte “con la mano sinistra” e non degne di figurare accanto a quelle maggiori (a tutt’oggi sul suo sito ufficiale La mano, nella versione olandese non compare nella sua bibliografia), si ricrede sul suo valore e decide di ripubblicarla ufficialmente all’interno del ciclo con l’esplicita avvertenza, per i fan in crisi d’astinenza, che da un lato il romanzo “cronologicamente si colloca prima di L’uomo inquieto, l’ultimo racconto della serie” (sottotesto: non ho “resuscitato” Wallander) e dall’altro che “non esistono altre storie di cui Kurt Wallander sia il protagonista” (sottotesto: non trattatemi come il povero Stieg Larsson di cui si favoleggia da tempo inutilmente l’esistenza di uno o due romanzi inediti).
Ma veniamo a La mano che, giudicato secondo i canoni adottati dallo stesso autore, potrebbe essere al massimo definito una novella lunga: neppure 150 pagine a fronte delle centinaia impiegate nelle precedenti indagini. Eppure gli ingredienti classici mankelliani ci sono tutti e – possiamo dirlo senza essere linciati? – la sintesi giova all’armonia complessiva, se è vero che uno dei difetti più comunemente imputati ai suoi romanzi era quello dell’estrema lentezza dell’azione nonché di una propensione a utilizzare il pretesto del noir per stilare severe diagnosi sociologiche sulla Svezia contemporanea.
Anche qui la scoperta di una mano affiorante dal giardino di un casolare abbandonato, che Wallander vorrebbe acquistare per la sua tranquilla vecchiaia da divorziato, innesca un’indagine a tratti sonnolenta, vivacizzata però qua e là dalla presenza della figlia Linda e del “genero” Stefan Lindman, entrambi poliziotti, al centro di due romanzi collaterali al ciclo principale – Prima del gelo e Il ritorno del maestro di danza – e coprotagonisti della popolare serie tv svedese dedicata al commissario.
Le procedure poliziesche inoltre non dilagano negli svelti capitoli del libro e il buco nero storico-sociale da cui prende avvio la vicenda – un’ordinaria storia di emigrazione e violenza domestica sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale – non è così centrale come in altre storie.
Sembra quasi che il modello letterario sotteso alla quasi totalità dell’opera noir degli autori scandinavi, non soltanto svedesi – il “romanzo di un crimine”, come recita il sottotitolo di tutti i dieci polizieschi della coppia Sjöwall & Wahlöö – sia stato spinto sullo sfondo e siano viceversa maggiormente venute in primo piano le psicologie dei singoli personaggi, a cominciare da Wallander che sembra presagire gli sviluppi della sua vicenda umana presenti nell’ultima avventura della serie.
Ne risulta quindi un romanzo meno complesso, meno “sociologico”, ma più accattivante sul piano dell’indagine, pur senza offrire colpi di scena feuilletonistici che sono lontani dalla sensibilità dell’autore, e venato di una malinconia che non appartiene solo al desolato paesaggio della Scania autunnale, ma anche e soprattutto alla vita delle persone, intrappolate nella solitudine che marchia a fuoco le loro vite.
Una buona lettura per un Buon Natale.
Voto: 7
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