La Einaudi ha portato in Italia la nuova avventura di James Bond con il romanzo Solo di William Boyd.
Ecco la trama:
È il 1969 e James Bond, spinto dal desiderio di vendetta, sta per lanciarsi in una pericolosa missione solitaria. 007, ormai veterano dei Servizi Segreti, viene inviato in un piccolo Stato dell'Africa Occidentale, lo Zanzarim, per mettere fine a una guerra civile. Aiutato da una bellissima complice e ostacolato dalla milizia locale, Bond si trova in una situazione lacerante che lo costringe a ignorare gli ordini di M e perseguire una forma di giustizia tutta personale. La diserzione lo porta a Washington, dove svelerà una rete di intrighi geopolitici e assisterà a nuovi orrori. Ma anche se Bond alla fine riesce a vendicarsi, un uomo con due facce continuerà a braccarlo.
Per festeggiare l’evento, abbiamo chiesto ad un team di autori di Segretissimo - storica collana della Mondadori dedicata all’action e alla spy story - di lasciare una testimonianza di cosa voglia dire per loro il personaggio di 007.
Stefano Di Marino alias Stephen Gunn: autore e traduttore, in edicola questo mese con il suo nuovo romanzo con protagonista Chance Renard: La Triade di Shanghai (Segretissimo n. 1605).
Io comunque leggevo già tonnellate di Segretissimo. I romanzi di Ian Fleming erano, ovviamente, un po’ di un’altra epoca: li ho riletti tutti varie volte. Di certo nella mia spy story c’è il senso del ritmo delle sceneggiature dei film che erano in anticipo di dieci anni su tutti gli altri film del filone. Ma c’era nella prosa di Fleming, nel tratteggio noir del personaggio, nei particolari qualcosa di disincantato, di duro che era assente in tutti gli altri eroi dei romanzi disponibili a quell’epoca. Credo sia stato proprio l’approccio al personaggio ad avermi influenzato di più quando ho cercato la “mia” via per raccontare la spy story.
Giancarlo Narciso alias Jack Morisco: autore e traduttore, scrive per Segretissimo le avventure di Banshee, la cui ultima risale al giugno scorso: Dossier 636 (Segretissimo n. 1600).
Per lo pseudonimo, la scelta era scontata: anni di permanenza in paesi lontani dove si parlano idiomi incomprensibili mi avevano di fatto già obbligato a rinunciare a Giancarlo in cambio del suo equivalente inglese, Jack; e per quanto riguarda il cognome, a quell’epoca stavo con una donna bionda la quale, posto che, in barba ai colleghi maligni, i miei capelli all’epoca non facevano ancora pensare a Kit Carson, ma erano scuri, aveva preso a chiamarmi Moro. E poiché entrambi non disprezzavamo la lettura di Tex, il passaggio da Moro a Morisco era stato inevitabile. Et voilà, ecco quindi apparire sulle scene lo scrittore Jack Morisco, ex funzionario delle dogane di Singapore, figlio di madre scozzese e padre corso, che vive a Bali sulle colline nei pressi di Ubud.
Per quanto invece riguarda le trame, viste le mie frequentazioni giovanili, fu altrettanto inevitabile ricorrere ai cliché dei primi film di 007, facendo un cocktail di Doctor No, Goldfinger, Thunderball e You Only Live Twice, ambientandoli nello scenario che conoscevo meglio, quello del sud-est asiatico. Nacque quindi Oliver McKeown, nome in codice Banshee, agente operativo del Joint Intelligence Directorate, il servizio di intelligence delle forze armate di Singapore, a sua volta figlio di un irlandese ex militante dell’IRA arruolatosi nella Legione Straniera per sfuggire all’arresto, ferito a Dien Bien Phu e sposato con una impiegata dell’Alliance Française di Saigon. Il giovane Oliver mai avrebbe sospettato di finire un giorno a fare la spia: provvisto di un solido MBA conseguito a Parigi, era stato infatti assunto da una banca d’affari Svizzera e trasferito a Singapore, dove il suo capo aveva pensato bene di addossargli la colpa di enormi ammanchi di denaro, facendolo finire in galera. A tirarlo fuori ci aveva pensato il direttore del JID, generale Tan, offrendogli il condono in cambio del suo arruolamento nei servizi.
Chiaramente nei suoi cliché Furia a Lombok denunciava in pieno la sua appartenenza al genere, ma il risultato mi sembrò comunque dignitoso, spingendomi a dedicarmi con ancor più entusiasmo a un gioco che trovavo molto divertente, tanto che nel secondo episodio, Le tigri e il leone [Segretissimo n. 1501], gli stereotipi bondiani sono già ampiamente sostituiti dai meccanismi più classici della spy story moderna, in cui, pur non rinunciando alla azione, la trama si radica saldamente nella situazione geopolitica locale e l’eroe non si trova più ad affrontare scienziati pazzi che vogliono dominare il mondo, ma gli intrighi di corridoio e le insidie interne del sistema e alla fine il peggior nemico si rivela essere chi dovrebbe essere il tuo stesso alleato.
Gianfranco Nerozzi alias Jo Lancaster Reno: autore elettico che in Segretissimo racconta le avventure targate Hydra Crisis. Il suo romanzo più recente è Nel cuore del diavolo (Segretissimo n. 1599).
Dentro a quelle pagine c’era l’avventura, c’era la trasgressione, c’era l’erotismo. E non solo quello. Ricordo lo stupore che provai quando arrivai a leggere della tortura. Il supplizio incredibile e se vogliamo esageratamente metaforico a cui il protagonista veniva sottoposto per opera del cattivaccio di turno: gli rompevano i “maroni”, come si dice qua a Bologna e forse anche nelle altre parti del mondo. Gli spaccavano le balle con un battipanni, letteralmente. Perché quell’eroe lì era uno che poteva sbagliare, uno che poteva cadere e rompersi, appunto. Perdere, essere sconfitto, per poi risorgere. Il tradimento, la vendetta. La resurrezione. Fantastico, perfetto.
Quell’eroe lì non si accontentava di avere un nome e basta, ma era connotato da una sigla numerica. La stessa che poi comparve magicamente sul cartellone di un film che parlava di una fantomatica “licenza di uccidere”. Che mi andai a vedere al mare, durante le vacanze, dentro a un’arena estiva, uno di quei posti magici dove proiettavano film all’aperto, sedie di legno scomodissime, zanzare a profusione e per tetto un cielo di stelle. Luoghi magici che adesso non esistono più. Mangiando brustolini comprati a un costo di dieci lire “al cucchiaino” da una vecchietta con tanto di fazzoletto nero sulla testa che presidiava l’entrata con un carretto pieno di ogni ben di Dio, avevo assistito con il fiato sospeso, fra un crunk crunk e l’altro, alle vicende dell’eroe. Di quello del battipanni, che si era fatto immagine e voce, assumendo faccia e corpo. Stava nascendo un’epopea. Era inutile negarlo. E il mio immaginario ne sarebbe stato compromesso per sempre.
Nel corso degli anni il culto si è amplificato, contagiando tutto quello che c’era da contagiare. Di Ian Fleming ho letto tutto più volte, tutti i suoi romanzi in fila. Arrivando a comprarne diverse edizioni di ciascun titolo, facendo incursioni continue e ossessive nei negozi di libri usati quando esistevano ancora. E tutte le volte che usciva un film correvo subito a vederlo. Gli attori cambiavano. I romanzi restavano sempre gli stessi. Perché lo scrittore era morto e tutto sembrava destinato a fermarsi e a spegnersi.
Poi, un bel giorno, scoprii sugli scaffali di una bancarella un libro con un titolo che mi mise subito in allarme. Rinnovo di Licenza di un certo John Gardner. Dando subito una scorsa alla quarta di copertina, il mio cuore prese a battere forte. Quello del battipanni era tornato, lui era riuscito a superare li confini della morte del suo stesso autore. Ovviamente comprai quel libro e lo divorai subito provando la sensazione di essere andato a trovare un vecchio amico. L’eroe era ancora in piena forma, nonostante l’età avanzata. Conquistava belle donne, neutralizzava cattivi, e guidava la stessa auto che avevo io in quel periodo: una Saab 900 turbo argentata, con un motore truccato con raffreddamento ad acqua. Batticuore mio fatti capanna! E lecchiamoci i baffi a profusione, amici vicini e lontani...
Inventarmi e prendere le sembianze di un certo Jo Lancaster Reno, a un certo punto della mia carriera, in fondo, è stato un mezzo per rendergli omaggio. Partendo da quel secondo nome: Lancaster, che è lo stesso di Fleming. E continuando con la scelta di Marc Ange, agente Nemo nella fattispecie, e della nouvelle eroine Nemesis, con tutte le citazioni doverose e possibili, una in ogni romanzo: di quello che è stato.
Perché quello del battipanni non riesce a scomparire manco morto.
Resta sempre.
Indelebile e imperituro cavalca le onde del tempo e resta nella memoria, come quella sua ghigna bella e simpatica, da vero duro, la fronte corrugata e la sigaretta che gli spenzola dalle labbra pronta per essere accesa, seduto a un tavolo di quelli che fanno rumore con l’accento, dopo aver vinto una mano di carte con una bella donna e lei che allora gli chiede il nome e lui che glielo dice...
Francesco Perizzolo: autore, vincitore del Premio GialloLatino 2012 per il suo racconto contenuto in Segretissimo SAS 58, e a breve in arrivo con un esplosivo romanzo in digitale per Delos Digital.
Sono nato nel 1980 da genitori appassionati del Bond di Connery. Thunderball fu il mio primissimo approccio intorno ai tre anni. Mi viene da ridere ripensando alla domanda che posi a mia madre alla fine del film: perché quel signore ha un tappo nero sull’occhio? Nonostante questa mia ridicola preoccupazione per le condizioni oftalmiche di Adolfo Celi, 007 lasciò segni indelebili, tanto che la mia immedesimazione mi portò a creare alcuni problemi di non scarsa rilevanza ai miei genitori: costruii con dei mattoncini Lego quella che nelle mie intenzioni doveva essere una bomba, ed ebbi la grande idea di imbottirla di raudi, sottratti per l’occasione al ben più giovane fratello di mia madre. La casa non andò a fuoco, ma poco ci mancò. La mia piromania, invece, durò molti più anni... Comunque verso i dodici scoprii fra i libri di mio nonno una vecchia edizione di Casino Royale. Ero molto incuriosito perché fino a quel momento ero stato convinto che Bond fosse solo un personaggio cinematografico. Leggere per la prima volta un libro sapendo già che volto dare al protagonista è qualcosa di molto strano e complica il sistema di attese e aspettative.
Andrea Franco: traduttore in Segretissimo della saga dedicata a El Asesino, mentre ha esordito su Il Giallo Mondadori con il suo L’odore del peccato (3092): per Delos Digital ha esordito con il suo Lo sguardo del diavolo.
Il secondo ricordo è: Sean Connery. Connery ERA James Bond. Anche se aveva smesso di esserlo veramente da un bel po’ di anni. Eppure, quel Roger Moore non mi entrava in testa. Anche se tutti ne parlavano, di Connery e di Moore. Ognuno diceva la sua, chi preferiva il primo, chi il secondo (il terzo, a dire il vero, perché nel mentre aveva fatto una sua apparizione un certo Lazemby, scoprii tempo dopo). Accendeva le discussioni, Bond, come può farlo una persona vera. Ma un personaggio come lui una persona vera lo diventa, eccome. Uno di noi, anche se un po’ speciale.
Kevin Hochs: autore misterioso, autore per Segretissimo di Sandblast (1536) e Sturmvogel (1579).
James Bond, quello del cinema, ha rappresentato per me bambino l’approccio ad un tipo di avventura nella quale l’azione comprendeva anche, o soprattutto, un vorace e veloce (l’assonanza è voluta) consumo sessuale. Il suo modello di derivazione, quello letterario, ha rappresentato per me adolescente l’approccio ad un tipo di scrittura nella quale l’azione comprendeva anche, o soprattutto, un lento e denso lavorio di stile. Né l’uno né l’altro c’entrano, però, con il VERO spionaggio. Per il quale dovevo attendere la crescita di maturità indispensabile per rapportarmi al SOMMO: John le Carré.
Fabio Novel: curatore della mitica antologia LEGION (SuperSegretissimo n. 36, Estate Spia 2008) che raccoglie un contributo degli autori Segretissimi sotto copertura.
Non so quanti anni io avessi quando mio padre mi portò a vedere il mio primo film di 007 (Goldfinger, ne sono quasi certo) in qualche cinema all’aperto. Sei, sette? Come poteva un ragazzino, nei primi anni ’70, non restarne affascinato? All’epoca, d’estate non venivano distribuite prime visioni; al cinema quindi passavano annualmente le cosiddette rassegne estive: una settimana di film catastrofici, poi una di fantascienza, una di comici, una di gialli... e ovviamente una su 007! Non so quante “scorpacciate” mi feci delle prime affascinanti avventure del nostro agente segreto, quelle magistralmente interpretate dallo James Bond per eccellenza, Sean Connery, ma anche le prime di quelle più ironicamente vissute da Roger Moore, passando per il dimenticato Charles Lazenby, che pure ebbe l’onore di essere Bond in uno degli episodi in un certo senso più importanti della vita dell’agente segreto.
Fu sicuramente in quei film che ebbe origine non solo il mio profondo attaccamento al mito Bond, ma in parte anche il mio futuro interesse per la fiction spionistica in generale e della mia passione per i viaggi e per le ambientazioni esotiche, che sono indubbiamente una delle componenti vincenti del vincente cocktail bondiano, assieme al carisma del protagonista, al fascino delle Bond Girl, ai gadget più o meno presenti, all’approccio avventuroso (e spesso alquanto improbabile) all’universo spionistico... Una passione che mi ha fatto crescere come uomo, come lettore e anche nelle mie occasionali incursioni come narratore nel mondo della scrittura professionale.
Se poi mi si dovesse chiedere perché il mito Bond è ancora ben più che vivo, a distanza di decenni, be’... ve lo dico francamente: non è certo grazie ai vari scrittori che hanno nel tempo si sono passati il testimone ufficiale dei romanzi di 007, come il noiosetto John Gardner e il più dotato Raymond Benson, che hanno professionalmente redatto testi di varia qualità ma comunque essenzialmente destinati agli appassionati duri e puri, o ai trascurabili one shot di Sebastian Faulks e Jeffery Deaver, fino al nuovo firmato William Boyd, che pure attendo con una certa curiosità dopo averne letto la sinossi e i commenti positivi del mio amico Stefano Di Marino (una garanzia!).
No, il merito della sopravvivenza di un mito passa attraverso gli attori che hanno variamente interpretato Bond al cinema, attraverso il lavoro (non sempre felice, ma che ha garantito continuità) di sceneggiatori e registi: il già citato Roger Moore (peraltro, quello che ha interpretato più volte lo 007 ufficiale), l’onesto ma fuori personaggio Timothy Dalton, l’adeguato ma antipatico Pierce Brosnan (eccezionale invece in ruoli più complessi di pellicole a matrice spionistica), ma soprattutto al primo e all’ultimo della lunga serie cinematografica: l’icona Sean Connery che ne ha segnato la nascita della leggenda; e Daniel Craig, l’attore che ha dato volto e fisionomia ad una del tutto inattesa e insperata gloriosa ri-nascita, con pellicole straordinarie sotto tutti i punti vista quali Casino Royale e Skyfall.
Lunga vita al Mito. Perché NON “si vive SOLO due volte”!
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