Robert Harris ha la grande capacità di variare temi e storie. Dall’ucronia più spinta (Fatherland, 1992), alla storia antica (Pompei, 2003) sino all’intrigo spionistico letterario (Il Ghostwriter, 2007) ma ha sempre avuto una particolare predilezione per l’intreccio spy storico. Enigma (1995) fu una delle migliori ricostruzione dello spionaggio bellico sia nel romanzo che ne film che ne fu tratto nel 2001.
È quindi con una grande soddisfazione che ho letto questo An Officer and a Spy (2013) che per ambientazione e argomento si avvicina moltissimo ai miei interessi attuali.
Lo dico subito, non so quanto il grande pubblico abituato a romanzi più semplici e attuali potrà apprezzarlo, ma gli estimatori non mancheranno anche se 500 pagine alla fine sono davvero troppe. Detto ciò catapultiamoci nella Francia dell’ultimo decennio del diciannovesimo secolo, dopo la sconfitta con la Germania che l’aveva privata dei territori dell’Alsazia Lorena. La crisi della repubblica è evidente come l’antisemitismo strisciante. Quando Alfred Dreyfus viene accusato di tradimento, per di più a favore degli odiati tedeschi, diventa il capro espiatorio utile per una rivalsa almeno morale della grandeur francese.
Il romanzo inizia proprio nel gennaio 1895 quando il processo è già concluso. Il racconto, nelle parole di Georges Picquart, ufficiale seriamente convinto della colpevolezza dell’imputato, riferisce dell’umiliazione pubblica inferta per le vie di Parigi, la degradazione e la partenza per la prigione dell’isola del Diavolo in Guyana. Dreyfus non confessa. Grida la sua innocenza ma a causa soprattutto dell’antisemitismo diffuso tra la popolazione e le alte sfere, viene messo a tacere. Picquart che è un quarantenne con un passato nelle colonie, tombeur de femmes come dovrebbe essere ogni buona spia (nei romanzi) viene messo a capo dell’ufficio Statistico, ossia i servizi segreti dell’esercito. E qui, lentamente, emergono indizi, prove di negligenza se non proprio di malafede.
Picquart arriva a convincersi che Dreyfus è stato vittima di una macchinazione per addossare a lui le colpe di un altro ufficiale, tale Esterhazy, pieno di debiti, non certo uomo d’onore ma non ebreo. Comincia così una complessa indagine che ci rivela i meccanismi della spy story d’antan, che mi sono particolarmente cari perché mi riportano alle storie delle Brigate del Tigre del Professionista. E in effetti c’è anche Bertillon, antesignano della polizia scientifica e quel Clemenceau che nel 1907 creerà le Brigate per combattere gli anarchici.
Nel frattempo Harris mette Picquart al centro di una storia complicata nella quale riesce a fondere certe atmosfere un po’ alla Leblanc con i meccanismi di invidie, stupidità e sopraffazione che sono state il nerbo della migliore spy story di le Carré. E non mancano esilii forzati nelle colonie, tentativi di omicidio, scandali. Non ci sono negati neppure l’emozione di un duello all’alba e un incontro di canne e Savate per le strade parigine.
Entrano in scena Émile Zola, la Storia con le sue meschinità. Picquart paga amaramente il suo desiderio di verità ma alla fine, nel 1906, tutto si risolve. I buoni vengono riabilitati e la verità, per quanto scomoda riemerge. Siamo vicinissimi a una guerra mondiale, si chiude un’epoca di intrighi e se ne apre un’altra.
Una lettura intelligente, che richiede senza dubbio passione e attenzione ma che, nel panorama attuale delle proposte in libreria, trovo interessantissima.
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