Varian improvvisamente cadde preda di un farfuglio incoerente, accompagnato da borbottii e da un gesticolare confuso, senza dubbio tipico della follia. Iniziò a muoversi avanti e indietro per lo spazio davanti alla cella, poi fissò Nasmyth, esplose in una risata e se ne andò.

Lo sfortunato prigioniero fu scosso da forti brividi. Ammesso di riuscire a indovinare la parola segreta, iniziava a dubitare della capacità del suo torturatore di riconoscergli la vittoria e la sua reale volontà di liberarlo. Avere a che fare con un individuo privo di senno apriva la strada a ogni tipo di orribile speculazione.

Fu travolto da un’enorme sensazione di spossatezza. Incapace di altre meditazioni, trascorse la notte disteso sulla coperta, con le braccia sul viso per coprire la luce, e alla fine, del tutto esausto, cadde in una specie di sonnolenza indecisa.

La giornata conclusiva lo colse febbricitante e fiacco, incapace di mangiare o di restare fermo per un minuto. Come un condannato a morte - cosa che ormai aveva riconosciuto essere - misurava a grandi passi il perimetro della cella e solo con un enorme sforzo di volontà si trattenne dal fiondarsi con la testa contro le pareti o prendere a pugni le sbarre della gabbia.

Era ossessionato da idee suicide: avrebbe potuto usare il tessuto della sua veste, ridotto a strisce, per costruire una corda e impiccarsi alle sbarre.

Per alcune ore quest’idea ebbe una forte presa sulla sua mente, ma alla fine riuscì a scacciarla, e intorno a mezzogiorno riuscì a calmarsi a sufficienza per rifocalizzare la mente sull’odioso ed esecrato compito di analizzare la questione.

Ed era certo un’analisi di importanza vitale, visto che sulla sua assoluta precisione nel pronunciare una sola parola specifica dipendeva la sua futura esistenza.

Elaborò mentalmente il problema di trovare un fattore comune fra tutti i rami della matematica, che non fosse però un numero, fino alle sette della sera. A quell’ora la testa gli pulsava disperatamente per il dolore e i suoi nervi erano sul punto di esplodere.

Una debolezza tremebonda si impadronì del suo intero essere e, incapace di restare ancora in piedi, si mise a sedere sul giaciglio, la mente fissa su quell’unica cosa sfuggente, quella soluzione definitiva che aveva stabilito essere l’unica possibile per quel tremendo problema.

Quest’idea, esprimibile in una sola parola, ronzava e fischiava nella sua mente febbricitante, ormai prossima alla pazzia. Gli sembrava di udire delle voci che gliela gridavano, demoni che la cantilenavano, martelli incandescenti che la piantavano con forza nel suo cervello, mentre visioni oniriche la lasciavano scorrere davanti ai suoi occhi.

Si distese ancora una volta e iniziò a strisciare, come per sfuggirle; in questo modo, per qualche tempo, si trovò preda di un oblio misericordioso.

Una voce richiamò la sua mente vagante alla coscienza.

«Bene, Nasmyth. Pronto?»

Messosi a sedere, fissò con orrore la più strana apparizione che i suoi occhi avessero mai visto.

VI

La figura che aveva davanti avrebbe scosso un sistema nervoso ben più forte del suo. L’aguzzino era coperto di una lunga veste di lino, come quella usata dai chirurghi durante un intervento operatorio. La testa e l’intero volto erano coperti da un curioso apparato: un respiratore, con grandi occhialoni, attraverso i quali Nasmyth vide il luccichio negli occhi del vecchio. Nella mano destra Varian stringeva una piccola fiala.

Allora comprese, e lottò per rimettersi in piedi, per allontanarsi da quella visione.

«Non allarmatevi» disse la voce attutita dal respiratore. «La morte è solo sonno e riposo. Chi non merita il diritto alla vita dovrebbe ritenere la morte una benedizione. Siete pronto per l’ultima e decisiva domanda?»

Incapace per un attimo di parlare, il prigioniero guardò il suo torturatore. Poi sollevò una mano tremante a indicare.

«Intendete... uccidermi?» boccheggiò. «Uccidermi e restar qui a guardare, proteggendovi dal veleno con quel diabolico apparato».

«Non sono qui per discutere!» rispose secco il vecchio. «Sono qui per rispondere alla vostra ultima domanda, e quindi per liberarvi o per portare a termine l’inesorabile volere della giustizia! Siete pronto, dunque?»

Comprendendo che ogni discussione sarebbe stata peggio che inutile, Nasmyth con uno sforzo supremo si preparò ad affrontare l’inevitabile. Incrociate le braccia davanti al corpo guardò il pazzo.