Will you still love me Tomorrow? è il secondo lungometraggio di Arvin Chen, regista nato e cresciuto negli Stati Uniti ma da tempo impegnato in progetti nell’isola di Taiwan, di cui i suoi genitori sono originari. Il film narra in parallelo la storia del naufragio matrimoniale tra l’ottico quarantenne Wei-Chung (Richie Ren) e Lan Feng (la cantante Mavis Fan) e la riconciliazione tra Mandy (Kimi Hsia), sorella più giovane di Wei-chung, e San San (Stone, aka Shi Chin-hang, chitarrista della famosa rock band taiwanese Mayday). Il tutto coreografato dal fotografo matrimoniale Stephen (Lawrence Ko) e dai suoi amici, che cercano di far rientrare il colore e l’allegria nella vita degli altri. L’elemento scatenante della crisi: per Wei-chung, un’omosessualità rimossa ma tornata con prepotenza davanti ai suoi occhi, incarnata nella figura di un fascinoso cliente di Hong Kong, Thomas (Stephen Wong); per Mandy, l’ansia da matrimonio, che la costringe a mollare letteralmente San San nel centro commerciale Carrefour senza nessuna spiegazione (la frase “Mi ha mollato da Carrefour!”, gridata piagnucolando da un incredulo San San, diventerà uno dei tormentoni di tutto il film). L’innamoramento di Wei-chung è scandito dalla tenera dolcezza che accompagna la sua vita interiore e il suo sguardo mesto e sorridente insieme – ad esempio la visione del suo capo che si libra nell’aria a bordo di un ombrello, o il lievitare a occhi chiusi per strada dopo aver incontrato Thomas, o ancora la visita oculistica dove, galeotto fu l’autorefrattometro, tra gli occhi di Wei-chung e quelli di Thomas già scocca la scintilla. Il panico di Mandy, invece, viene rinfrancato e lenito da pacchi di instant noodles, garanzia di abbrutimento e solitudine forzata, e dalle soap coreane in tv con tanto di dialoghi immaginari con il leading actor dispensatore di consigli Lee Hae-woo (che interpreta se stesso), garanzia di alienazione dalla realtà. Insomma, da un lato c’è un lento esplodere e riemergere di pulsioni sepolte per il bene generale - la moglie, il figlio, le convenzioni sociali; dall’altro, il nervoso e confuso rifiuto a voler accondiscendere a compiere il passo del matrimonio, condito da strampalati tentativi di riconquista da parte dell’aspirante marito, con tanto di camicia hawaiana e balletti. Colta nel mezzo, la pallida e triste Lan Feng, sempre presa dal lavoro e pressata dalla madre per avere un altro figlio, ancora ignara del passato di Wei-chung e del suo riattualizzarsi. Ovviamente, non c’è commedia senza un pizzico di tragedia, così Lan Feng verrà a scoprire il perché della distanza di suo marito vedendolo uscire da un albergo con Thomas: così come gli occhi di Wei-chung non l’hanno ingannato mentre analizzava la vista del bel cliente, ciò che Lan Feng vede deve per forza corrispondere a verità, e parallelamente, la foto scattata da Stephen per la cerimonia di San San e Mandy, che li ritrae entrambi felici e innamorati, non può narrare un amore improvvisamente svanito. Tutto il film sancisce il primato dello sguardo e dell’impossibilità che gli occhi hanno di mentire nell’osservare il mondo e nel farsi scandagliare di rimando da esso. “Pensavo di poter cambiare, ma mentivo a me stesso”, dice Wei-chung nell’inevitabile momento di confrontation con Lan Feng, ma nessuno dei due dice una parola di troppo né si arrabbia, agendo in quella maniera implosa che entrambi i personaggi hanno di palesare l’uno una rassegnata e innocente dolcezza, l’altra una pallida ma risoluta tristezza. Nel frattempo, Mandy scopre di essere incinta, e la sua crisi sprofonda ancora di più nell’indecisione. Nessuno sa cosa fare: tenere Thomas nella propria vita, ricominciare da donna manager senza marito, allevare un bambino da sola, dimenticare Mandy e voltare pagina? Forse il segreto sta nel non pianificare nulla, perché la vita non si può imbrigliare in regole prestabilite.
Con un finale dolceamaro che non ha nulla di consolatorio, anzi ribalta il senso del lancio di petali di rosa (in realtà si tratta qui di bigliettini di carta) durante la cerimonia nuziale trasformandolo in un augurio non di unione, ma di consapevole separazione, Will You Still Love Me Tomorrow? è un film dove la validità delle scelte di ciascuno non sono messe mai in discussione dagli altri. In tal senso, non mi sembra azzeccata l’opinione secondo la quale questo film ritragga l’essere gay come “una fase passeggera” (Derek Elley, Film Business Asia): nessuno pone mai in dubbio l’omosessualità di Wei-chung e la titubanza che lui dimostra nell’abbracciare il proprio destino è data dal suo vivere le cose sottovetro e con candore, non certo da una mancanza di chiarezza nei confronti di se stesso. Quel finale che potrebbe sembrare aperto in realtà sancisce l’inizio di qualcosa di diverso, un’apertura verso la trasformazione da meri spettatori della vita a suoi agenti perché, come dice Lan Feng, “così potrai amare di nuovo qualcuno e anch’io. Non è troppo tardi.” Trovare se stessi richiede tempo, ma c’è speranza che si possa ancora ottenere.
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