Un buffo sbarco sulla luna ci introduce nel nostalgico mondo rievocato da Forever Love, film diretto a quattro mani da Shiao Li-shiou e Kitamura Toyoharu. La pellicola celebra il cinema in dialetto hokkien (anche detto “taiwanese”) prodotto a Taiwan tra il 1956 e il 1970: si trattava di film a basso costo con sceneggiature e dialoghi strampalati sfornati a ritmi vertiginosi per soddisfare un pubblico avido di divertimento, improbabili divi ed evasione sognante nel mondo del fantastico. E quale immagine può suggerire le idee di evasione, fantastico e sogno più della luna, in quegli anni in cui lo Sputnik sovietico e l’Apollo americano rendevano i suoi crateri nascosti ogni giorno più vicini? “La luna ti accompagna quando realizzi i tuoi sogni”, afferma il vecchio Liu Chi-sheng (Lung Shao-hua) e parlando con la nipote ricorda i fasti di un passato che non c’è più, racchiuso nella scatola dei ricordi come l’Hollywood Theatre, il cinema da lui gestito che proiettava solo film in dialetto hokkien. Ed eccoci catapultati nella dream factory degli anni ’60-‘70: il giovane scriptwriter Liu Chi-sheng (Blue Lan), perennemente in lotta contro il tempo a scrivere più sceneggiature contemporaneamente, sogna un modo per diventare regista e insieme togliere di mezzo l’insopportabile ghigno di Wan Pao-lung (Edison Wang), divo narcisista ovviamente incapace di recitare e in coppia fissa sullo schermo con la bella Chin Yue-feng (Tien Hsin), che, altrettanto ovviamente, lo detesta. La vita scorre monotona e priva di sorprese tra i deliri delle fan di Wan Pao-lung e il produttore che lo obbliga a sfornare improbabili battute e scenari a metà tra la spy-story e il monster movie, ma un bel giorno tra le fan sopraggiunte per catturare un sorriso di Wan Pao-lung durante la prima di un film appare la svampita Chiang Mei-yue (Amber An) e Chi-sheng subito se ne innamora, facendo in modo di ingaggiarla per un film durante delle audizioni. Da quel momento, narra il nonno, “la sceneggiatura sarà una lettera d’amore e i dialoghi una poesia d’amore”: Mei-yue arriverà un po’ per caso a fare la controfigura di Yue-feng in alcune scene e, complice uno strano scherzo del destino, l’anziano regista dei film in hokkien morirà lo stesso giorno in cui Armstrong sbarca sulla luna, dando a Chiu-sheng la possibilità di girare un film tutto suo e di rendere dunque omaggio alla sua bella luna (Mei-yue infatti vuol dire proprio “bella luna”). Chi-sheng e Mei-yue si ritroveranno a recitare insieme nell’unico spy-monster movie da lui diretto, ma il destino tornerà a bussare implacabile alle loro porte: firmata una cambiale, Chi-sheng si ritrova in prigione per i debiti lasciati dal produttore insolvente e Mei-yue, ormai immedesimatasi nella parte della strampalata eroina sbarcata sulla magica luna in bianco e nero del film di Chi-sheng, dimentica il lato oscuro della realtà e si rifugia nel sogno. Da quel momento, lei e Chi-sheng saranno per sempre gli eroi dei film di quegli anni, i veri Wan Pao-lung e Chin Yue-feng: l’amnesia portata dal dolore di un mondo svanito con la prigione e il tramonto definitivo del cinema hokkien sostituirà l’incanto dello schermo all’identità autentica. Una volta uscito di galera, Chi-sheng si ritroverà a vestire i panni dell’eroe solo per accontentare la sua amata, sperando di scorgere nei suoi occhi il barlume di ciò che era, la luna dei suoi sogni tramutata in realtà. “Il destino mi condannò a quattro anni di prigione, ma condannò il cinema in taiwanese all’estinzione”, dice il nonno alla giovane nipotina: l’unico film da lui girato come regista non vide mai la luce, stroncato dal mutare degli eventi, e nessuno poté così vedere la scena della danza sotto la luna che consacrò l’amore tra lui e Mei-yue. Ma, come ogni commedia romantica che si rispetti, il lieto fine non tarda ad arrivare: la nipotina aiuterà il nonno a riconquistare la nonna (Shen Hai-jung) scavando nella sua memoria che, incatenata alla luce della luna si riaprirà rendendo un’ultima volta l’Hollywood Theatre scenario di un trionfo.
A metà tra il musical e la commedia demenziale, con tocchi di romance e mélo, Forever Love è prima di ogni altra cosa un atto d’amore per la magia del cinema, anche se povero di mezzi e inevitabilmente pacchiano: nelle immagini d’epoca inserite nei titoli di coda tratte dagli autentici film in taiwanese così come nei frammenti di sceneggiatura ricreati nei film-nel-film da Shiao e Kitamura, indoviniamo quella curiosa quanto improbabile innocenza à la Ed Wood (che operò in quegli stessi anni), quel voler “fare cinema” che ogni creatura dotata di naïveté e convinta di poter incantare le platee possiede. E se in qualche modo oscuro ci riesce, l’incanto generato dalle sue immagini un po’ ingenue può regalarci attimi di verità e di emozione, come questo film.
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