«E poi la pace», sorrise l’uomo.

«Ebbene, ditemi quanto sapete. Ve ne prego! Parlatemi del Rex Deus...».

E il prigioniero, lo sguardo già rivolto verso isole beate, mise da parte la ritrosia per confessare ciò che nascondeva da tutta la vita. «Non a me dovete chiedere», rivelò, «bensì all’ultimo dei monaci senza nome».

«Non comprendo, fate presto!», lo spronò Sinan, sentendo i rumori del combattimento salire verso l’alto. I suoi uomini stavano prendendo la torre, ma era impossibile prevedere i risvolti dello scontro.

«Questa è la parte del segreto che custodisco», disse l’uomo in catene, ormai privo di forze. «Non so nulla del Rex Deus. Nulla eccetto il nome di colui che custodisce il diario... Il diario del Templare».

«Ma i Templari sono estinti da due secoli!», obiettò il Giudeo.

«Eppure quel diario esiste, e indica come trovare il Rex Deus».

«Ebbene, chi è costui? Come posso trovare i monaci senza nome?»

«Si tratta di un monachus peregrinus», svelò il prigioniero. Ed emettendo l’ultimo alito di vita, pronunciò un nome.

Sinan lo sussurrò tra le labbra, per assicurarsi di serbarne memoria. Poi si accettò che il miserabile fosse davvero morto, si legò una benda all’occhio e uscì dalla cella per conquistare la libertà. Già vedeva una teoria di uomini in combattimento. Al centro dello scontro, l’abnorme Margutte roteava una mazza di ferro con la furia di un titano.

In poche falcate, Sinan fu al suo fianco. Avrebbe continuato a battersi, si disse, finché non fosse riuscito a trovare il Rex Deus.