Sembra di assistere a un Autofocus senza la regia di Schrader e con al centro la pedofilia anziché il voyeurismo. Togliamo Schrader, appunto, e mettiamo Gregg Araki, esponente di spicco del New Queer Cinema che citiamo letteralmente "…nacque sotto l’insegna di un movimento gay teso a distruggere, agli inizi degli anni ’90, il bon ton della cultura cinematografica omosessuale e i piagnistei del post-aids…" (Pier Maria Bocchi, Mondi oscuri, FilmTv, anno 13, nr. 22, pag. 30).

Tema incandescente quello della pedofilia, ovvio, e se sino a oggi un riferimento era, almeno a nostra memoria, Happiness di Todd Solondz con l’agghiacciante confessione del padre pedofilo violentatore degli amichetti del figlio (confessione indirizzata a quest’ultimo), d’ora in avanti quando ci si imbatterà in un altro film sullo stesso tema la memoria dovrà tornare per forza a questo.

 

Tema incandescente, si è detto, tema che Araki sviluppa sul doppio binario consenziente, per quanto possa essere consenziente un bambino alle prese con un adulto pedofilo, nella fattispecie Neil, e il non consenziente Brian, che si sveglia improvvisamente in una cantina con il naso sanguinante senza ricordare né il perché né il percome, talmente traumatizzato dalla violenza subita da rimuoverla completamente sostituendola con la possibilità che si sia trattato di un rapimento da parte degli extraterrestri.

 

Su questo doppio binario, Araki conduce le storie dei due ragazzini (poi adolescenti), storie destinate a intersecarsi due volte: all’inizio quando entrambi hanno l’età di otto anni (siamo all’inizio degli anni ’80) e fanno parte della stessa squadra di baseball, e alla fine, quando Brian si convince che il buco nero che ha inghiottito un pezzo della sua infanzia rimarrà nero pece fintantoché non incontrerà di nuovo Neil, l’unico in grado di spiegargli cosa sia successo quella notte di Halloween risalente a dieci anni prima.

Araki ha occhio e mano ferma, evita il morboso e quindi lo scandalo (non era semplice, gli va riconosciuto…) procedendo in modo insolito ma che alla fine risulta l’unico possibile, ossia responsabilizzando sino in fondo Neil fino ad attribuirgli un’estrema, radicale, e quanto mai precisa consapevolezza omosessuale, consapevolezza che procede fin dentro a quella che è, e che rimane, una relazione fortemente asimmetrica (quella cioè tra un pedofilo e un bambino), trasformandola in un momento di scambio di piacere reciproco dove non è dato di capire bene chi usa l’altro e chi è usato da chi, chi è il complice e chi la vittima, scelta che farà storcere il naso a molti, così come lo abbiamo storto noi appena letta la trama, ma che alla prova delle immagini tiene il film in carreggiata e lascia alla fine ognuno libero di esprimere un giudizio (più o meno sereno s’intende) su quanto visto.

 

Tra le immagini che resteranno di questo Mysterious Skin, scegliamo non tanto quella ampiamente riportata dei cereali colorati che in apertura cadono sul volto di Brain e che più avanti faranno da contorno a uno degli incontri tra Neil e il coach di baseball (il pedofilo), immagine che ammantata com’è di splendida innocenza ne segna al tempo stesso irrimediabilmente la fine, piuttosto l’incontro di Neil con un cliente malato di AIDS con il corpo devastato dal sarcoma. Nella stanza dell’uomo (il killer silenzioso di Gli intoccabili che dopo aver eliminato il contabile della squadra di Ness per sfregio scrive sulla parete dell’ascensore col sangue della vittima “touchable”) troneggia una riproduzione del quadro di Vermeer La ragazza dall’orecchino di perla, musa silenziosa di un incontro carico di sofferenza dove il contatto fisico tra i due per una volta fa a meno del sesso.

 

Insomma, per fortuna siamo ben lontani dalle parti bazzicate da Ingannevole è il cuore più di ogni cosa (altrimenti ci sarebbe da che preoccuparsi…). Piuttosto ci troviamo in una zona dove c’è un regista che ha scelto di affrontare una storia dura a muso duro, con l’unico difetto di lasciar trasparire, soltanto all’inizio in alcuni commenti affidati alla voce off, l’origine letteraria della vicenda (Il romanzo omonimo di Scott Heim).

 

Da porre in cima a una lista, assemblata molto alla rinfusa lo confessiamo, che include Krampack, Le regole dell’attrazione, Happiness, Thirteen, Bully.