Il Gruppo Volf, una multinazionale francese, interessata a espandere i suoi affari, incarica una delle sue migliori manager, Diane, di curare l’acquisizione di TokioAnime, una società specializzata in manga anche erotici che ha bisogno di forti investimenti in denaro per sviluppare la tecnologia 3D così da rimanere leader incontrastata del mercato.
All’affare sono interessate anche altre due società, la Mangatronics e la Demonlover, molto attive nel settore dei siti pornografici su Internet, disposte a tutto pur di mandare a monte l’accordo tra il Gruppo Volf e la TokioAnime…
Demonlover è stato presentato a Cannes 2002 dove fu accolto con diversi epiteti, alcuni fantozziani ("Demonlover è una boiata pazzesca" - Roberto Nepoti su Repubblica…) e qualche tiepido apprezzamento. E' abbastanza visibile, senza infamia e senza lode, urge dirlo tanto per chiarire sin da subito le cose. Il film è dell’ex redattore dei Cahiers du Cinéma Olivier Assayas, autore di almeno tre film notevoli che rispondono ai nomi di L’Eau Froide, Irma Vep e il recentissimo Clean.
Il problema che affligge questa storia di spionaggi e controspionaggi industriali, dove nessuno fa un gioco ma perlomeno due se non tre, questa storia di incroci culturali, Francia, Giappone, Stati Uniti, nonché linguistici, è la sensazione che Assayas avvicinatosi al mondo dell’alta finanza con occhio, si presume, vergine, non riesca a coglierne il vero lato oscuro, che per inciso somiglia molto a una sorta di perpetuo cannibalismo (cos’altro è un’acquisizione aziendale se non il fatto che un'azienda grande mangi una sua simile più piccola?), preferendo di gran lunga, ammesso e non concesso che questo sia da considerarsi come un demerito, i personaggi femminili della vicenda, in particolare la sua anti-eroina Diane/Connie Nielsen, anche lei come tutte le donne di Assayas appartenenti a un mondo che in fin dei conti non è il loro (ovvio che con Maggie Cheung, star del cinema di Hong Kong, il gioco è più semplice, lo spaesamento più grande, il risultato migliore, come dimostra ampiamente Clean). Questa eroina, perennemente al centro della scena fin dall’inizio, l’unica sveglia sull’aereo che riporta indietro dal Giappone Wolf e i suoi collaboratori, ha portato alcuni a scrivere che Assayas "...ha realizzato questo film solo per filmare Connie Nielsen" (Rinaldo Censi, Demonlover, Cineforum, nr 416. pag. 28), attraversa il film in uno stato perennemente apatico che sembra scomparire solo quando guarda qualche manga o qualche sito porno, finendo col diventare lei stessa schiava di un meccanismo che pensava di padroneggiare, trasformata in una creatura a metà tra il reale e il virtuale, un corpo fasciato da una aderentissima tuta di latex nero (come Maggie Cheung in Irma Vep, che a sua volta richiamava Les vampires di Feuillade), disponibile ma al tempo stesso riottosa a concedersi, corpo in chiaro solo per chi ha accesso alla rete e la password giusta per accedere a un sito dove lei stessa è divenuta protagonista (suo malgrado…).
Demonlover, si sarà capito, accumula parecchie idee, spunti, riflessioni: dalla pornografia e dai diversi modi, maschili e femminili di fruirla, alle differenze culturali su ciò che è ritenuto lecito mostrare e cosa no (i peli pubici per esempio, proibiti in Giappone), dai limiti del filmabile (che non sembrano esserci) al destino ultimo di quello che è stato filmato (che sembra avere dei limiti ma che in realtà non li ha, è solo una faccenda di mezzo, di canale, di password…).
Per far ciò si serve sì di una trama thriller, ma sottoposta a un trattamento di svuotamento, così che quando i colpi di scena arrivano, sembra che tutti già sapessero tutto.
Extra
trailer originale, galleria fotografica
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