Nell’aprile del 1959 Howard Hawks scrive la più celebre pagina del cinema western d’assedio: Rio Bravo. A settembre dello stesso anno il film arriva in Italia e i distributori si rendono conto di un pasticcio: qualche anno prima il Rio Grande di John Ford era stato ribattezzato nel nostro Paese Rio Bravo... e ora come intitolare questo di Haws, che è davvero Rio Bravo? Esce fuori il curioso Un dollaro d’onore: «Lungo e convenzionale, ma ben fatto e divertente», secondo “La Stampa” dell’11 settembre 1959.
Pare che il soggetto del film l’abbia ideato Barbara Hawks, la figlia del regista che, per evitare accuse di nepotismo, scelse di firmarsi B.H. ed utilizzare il cognome del marito. Inoltre finse di aver scritto un racconto, così il film risulta ispirato ad una short story di B.H. McCampbell. Di sicuro Hawks prese il soggetto della figlia e lo affidò alla sua fida collaboratrice Leigh Brackett, più celebre per i suoi romanzi di fantascienza che per le sue sceneggiature cinematografiche. Insieme i due crearono un cult movie.
Lo sceriffo Chance (John Wayne), rude ma con il cuore d’oro, arresta per omicidio Joe Burdette (Claude Akins), lo sbandato fratello di Nathan Burdett (John Russell), il ricco possidente che spadroneggia nella zona. È scontato che gli uomini al soldo del proprietario terriero faranno di tutto per liberare il fratello del padrone, e Chance non potrà contare certo su un valido aiuto: al suo fianco c’è solo il vecchio e sciancato Stumpy (Walter Brennan) e l’ubriacone Dude (Dean Martin). L’aiuto saltuario del giovane Colorado Ryan (Ricky Nelson) non sembra cambiare di molto la situazione. Ci vorranno sei giorni perché arrivi la polizia federale: riuscirà il gruppo malmesso a resistere così tanto agli attacchi degli sgherri di Burdett?
Ad un certo punto, per far capire le proprie intenzioni Burdett fa suonare a dei mariachi una canzone messicana: la stessa che veniva suonata ad Alamo. Il messaggio è chiaro: se Chance non molla, sarà l’assedio fino alla morte!
La nascita di Rio Bravo la racconta Hawks stesso al giovane Peter Bogdanovich nel 1962, in un’intervista raccolta poi in Howard Hawks: Interviews (2006). «È iniziato tutto con alcune sequenze viste in un film chiamato Mezzogiorno di fuoco, nelle quali Gary Cooper corre in giro cercando aiuto e nessuno vuole dargliene: era una cosa stupida da fare, visto che poi alla fine riesce nell’impresa tutto da solo. Così mi dissi che potevo fare esattamente l’opposto e adottare un punto di vista professionale: come dice Wayne quando gli propongono aiuto, “Se sono bravi li prendo, altrimenti dovrei prendermi cura anche di loro”.» Con l’intento dichiarato di girare un film che fosse l’esatto contrario di Mezzogiorno di fuoco Hawks dà vita ad un caposaldo del genere.
L’uscita nell’ottobre del 1960 de La battaglia di Alamo (The Alamo), teoricamente la ricostruzione di una vera e drammatica storia d’assedio, non fa che rinforzare il Rio Bravo di Hawks. Il film di John Wayne, su sceneggiatura di James Edward Grant, racconta di cento eroi che si pongono volontariamente in una situazione senza speranza, che si mettono in assedio pervasi da amor patrio per regalare tempo prezioso al generale Sam Houston - che leggenda vuole lancerà i suoi uomini nella successiva battaglia di San Jacinto al grido di «Ricordatevi di Alamo!»
Alamo è il simbolo di un certo modo di fare film: 160 minuti di cui soli 10 di azione effettiva. Canzoni, balletti, sbornie, scazzottate, marachelle, storielle d’amore, amicizia maschile, onore spiccio e moralismo a chili: questo è lo stile americano e questo è Alamo. Dov’è la fame e la sete, la rabbia e la frustrazione, l’integralismo religioso e la mania di persecuzione, dove sono cioè quegli elementi che hanno da sempre contraddistinto le storie d’assedio? Rio Bravo ha gli stessi identici elementi di Alamo, ma è una vera corposa storia d’assedio e mostra la sofferenza psicologica degli assediati: paradossalmente il lieto fine rende la pellicola molto più epica del film successivo, che in fondo sembra più la classica opera di propaganda bellica.
Il recente remake - Alamo. Gli ultimi eroi (2004) - non toglie né aggiunge nulla: è una storia d’assedio che fa di tutto per evitare di essere una storia d’assedio.
Storia che piace non si cambia: Howard Hawks ha fatto suo questo motto e nel 1966 propone una curiosa variante del suo film: El Dorado, tratto (stando ai titoli di testa) dal romanzo The Stars in Their Courses di Harry Brown.
«Comprai una storia che era praticamente una tragedia greca, dove tutti finivano uccisi» racconta Howard Hawks a Joseph McBride per il suo Hawks on Hawks (1982). «Insieme a Leigh Brackett scrivemmo la prima stesura, la rilessi ed esclamai: “Ehi, questo sarà uno dei peggiori film che ho mai diretto: non sono proprio capace di fare questa roba!” Leigh mi chiese “Che facciamo allora?” ed io risposi “Be’, scriviamo un’altra cosa”». Del romanzo originario di Harry Brown in pratica rimane solo una scena: quando John Wayne spara al ragazzo di vedetta, il figlio dei MacDonald. «Una delle ragioni per cui lo facemmo - continua Hawks - fu perché volevamo che il film iniziasse come una tragedia per poi trasformarsi in qualcosa di più divertente. Ci lavorammo molto, e soprattutto lavorammo più sui personaggi che sulla storia.» Il romanziere Harry Brown si infuriò per tutta l’operazione, considerando il risultato finale come un «mucchio di rifiuti» (stando a quanto racconta Hawks). Tentò di far togliere il proprio nome dai titoli di testa, senza però riuscirci.
Aprendosi con la canzone “El Dorado” - che mette in musica la celebre omonima poesia del 1849 di Edgar Allan Poe - il film prende gli stessi personaggi di Rio Bravo e li mischia. Stavolta ad essere un ubriacone per amore è lo sceriffo Harrah (Robert Mitchum) e l’unico che crede in lui è il pistolero Cole Thornton (John Wayne), che arriva in paese per dargli una mano: sta arrivando infatti un bel mucchio di gente pronta a sparare. Chiude il cerchio il giovane Mississippi (James Caan) che sostituisce Colorado (Ricky Nelson) del film precedente. Fra scazzottate, battutine e battutacce, camminate strane alla Wayne, il film prende molto meno del precedente e si lascia apprezzare giusto nei punti che lo ricalcano.
La reazione della critica all’uscita della pellicola è spiegata in modo chiaro dal celebre saggista britannico Robin Wood nel suo Howard Hawks (1968): «I critici che non amano particolarmente Hawks ma a cui piace Rio Bravo trovano delle similitudini e decidono che El Dorado è più o meno della stessa qualità; i critici che invece ammirano Hawks e ovviamente adorano Rio Bravo trovano delle similitudini e considerano El Dorado un disastro artistico».
Non pago, Hawks continua imperterrito e nel 1970 presenta Rio Lobo, sempre con Leigh Brackett al suo fianco e addirittura con il figlio di Robert Mitchum nel cast. Cambiano i personaggi e la storia è disperatamente più lunga, ma il centro resta identico: Wayne va in un paesino ad aiutare lo sceriffo da una situazione di assedio imminente, con l’aiuto di un giovanotto.
Quando gli viene fatto notare che tanto El Dorado quanto Rio Lobo sembrano remake di Rio Bravo, Hawks ribadisce: «Non erano affatto remake. Hai mai letto Hemingway? Hai notato delle somiglianze fra le sue storie? Hemingway rubava sempre a se stesso. [...] Se si fa un film che è un successo al botteghino è naturale che venga la voglia di fare una versione differente dello stesso film. Se poi un regista ha una storia che ama e vuole raccontarla, spesso guarda il film e dice “potrei farlo meglio se lo rifacessi”. E così io l’ho rifatto.» (Da Hawks on Hawks.)
I film di Hawks sono sicuramente la punta più alta del cinema western d’assedio, e saranno di ispirazione per molte pellicole a venire. È però ora di fare una pausa e tornare in Africa... come vedremo la settimana prossima.
Per ora chiudiamo con Dean Martin che canta My rifle, pony and me: la “canzone d’assedio” per eccellenza!
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