L’ambiguità è la chiave di lettura di The Quiet American (id., 2002) di Phillip Noyce. E altrimenti non potrebbe, essendo tratto dal romanzo Il tranquillo americano (The Quiet American, 1955) di Graham Greene che usa lo spionaggio come metafora dei rapporti umani e viceversa.
Siamo in Indocina negli anni ’50. La Francia sta rapidamente perdendo il controllo del nord del paese, si formano nuove forze politiche nazionaliste al sud sostenute neppure troppo nascostamente dagli americani. Questo il quadro generale della vicenda che si apre con una visione notturna del fiume Saigon e la voce del protagonista (Caine) che ci introduce con un passo letterario alla magia dell’Oriente. La storia, dopo un inizio che ci mostra un omicidio avvenuto in un vicolo, riprende poi alcuni mesi prima.
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