Dei cinque film (di cui due televisivi realizzati molto dopo, di cui parleremo più avanti) dedicati all’antieroe inventato da Len Deighton e interpretati da Michael Caine, questo Funerale a Berlino (Funeral in Berlin, 1966) è senz’altro il più riuscito. Sotto la salda direzione britannica di Guy Hamilton Caine è entrato ancor più nel personaggio e anche l’ambiente di contorno (dal capo Ross al resto della sua squadra operativa) appare meglio caratterizzato. Soprattutto ne esce un Harry Palmer con una sua storia personale, differente da qualsiasi altro jamesbondone. È forse proprio il passato da caporale dell’esercito costretto in seguito a una storia di traffici illeciti avvenuti a Berlino a entrare nel servizio segreto che si delinea meglio la figura di Palmer.
Sfrontato, amante della bella vita che si concede come può (chiede un prestito per comprarsi un’auto nuova, resta sempre un gourmand e non disdegna di scoparsi la segretaria del capo) Palmer rivela però le sue capacità di agente quando arriva sul campo.
Il film si apre (a differenza dei Bond) senza un vero e proprio teaser e senza sequenze grafiche per i titoli di testa. Però questi scorrono su una magnifica panoramica di Berlino che mette fianco a fianco i due settori. Ricco e allegro quello occidentale, cupo e militarizzato quello orientale. Qui con un’evasione estemporanea e spettacolare (non proprio realistica) comincia la vicenda.
Si segnala sin da subito la figura di Oskar Homolka, caratterista ungherese all’epoca specializzato nei ruoli del transfuga del KGB (lo ricordo anche ne L’esecutore con George Peppard) che intreccia con Palmer alcuni dei più bei dialoghi del film. La Guerra Fredda, la disillusione dei comunisti della prima ora di fronte alla tirannia dell’URSS, l’inutilità della divisione. Tutto emerge in poche e semplici battute tra i due che, pur avversari, simpatizzano.
Per la verità Vulkan, ex compagno di ruberie di Palmer e ancora agente dell’MI6 a Berlino, segnala la possibilità per gli inglesi di far defezionare l’ufficiale russo. E sulle prime sembra davvero tutto così semplice. Se nonché entrano in scena un gruppo di tedeschi specializzati in passaggi di frontiera, il gruppo Kreutzman che sembra un po’ l’organizzazione Ghelen. Qui l’affare si complica perché i russi hanno un loro piano ma anche un misterioso nazista arruolato a forza dagli inglesi e possessore di un patrimonio vincolato in Svizzera ha una sua agenda. E quando una magnifica indossatrice seduce Palmer, questi comincia a porsi delle domande, convinto di non essere poi così irresistibile.
In effetti ha ragione perché la ragazza (l’italiana Eva Renzi) è un’agente del Mossad e nella vicenda si inserisce una sottotrama che coinvolge appunto le vendette sioniste, i soldi rubati dai nazisti e depositati nelle banche svizzere e un raggiro che Palmer intuisce dal momento in cui viene avvicinato dalla “trappola al miele”. Entrano in gioco allora tutta una serie di sfumature quali la logica impietosa e spesso anti-etica dei servizi, il tradimento come regola, amicizia e, forse, amore a senso unico. Palmer guarda tutto con uno sguardo disincantato, magari un po’ rammaricato ma ormai abituato al mondo che lo circonda.
In uno scenari perfettamente reso della Berlino degli anni ’60, dai cupi uffici della polizia statale, ai quartieri squallidi dell’Est passando per i classici cabaret dei travestiti e ovviamente scorci del Muro, l’avventura prosegue alternando omicidi e tensione a momenti più leggeri. Palmer finisce sempre per perdere gli occhiali al momento dell’azione cosa che non gli impedisce di sparare diritto e fare a cazzotti. Si serve di ladri e falsari, del suo fascino sornione e di una sua etica che, malgrado tutto, gli permette di portare a termine la missione in un modo che Ross, il suo capo, ritiene eccellente.
Alla fine si mostra più idealista di quello che vorrebbe apparire. L’ordine di uccidere un amico traditore (benché nazista) proprio non lo vuole eseguire e solo le azioni degli altri (letali nelle intenzioni nei suoi confronti) si ritorcono contro chi ha macchinato nell’ombra e risolvono il caso.
Nuovamente ci chiediamo: È davvero un anti Bond? Ancora una volta per me la risposta è no. Le qualità umane e professionali restano le stesse e Saltzmann (produttore associato di Broccoli nell’impresa 007) gioca astutamente, distorcendo un po’ i romanzi originali per ottenere una variante interessante del modello che non dispiace ai fan di Bond, forse proprio perché invece della pedissequa imitazione propone la medesima formula alterando semplicemente alcune componenti.
Berlino risulta comunque glamour anche nei suoi squarci più cupi e l’azione si sviluppa rapida, essenziale. Il colpo di scena dell’evasione sul carro funebre è quanto di meno realistico e “lecarrèiano” si possa immaginare, ma funziona per gli amanti di un filone (quello avventuroso) e dell’altro (quello più intellettuale).
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