Nelle precedenti puntate di questo speciale abbiamo incontrato l’Incubo e le sue nove compagne o la cavalla della notte e i suoi nove puledri: cioè gli sforzi dei traduttori italiani per rendere la filastrocca del Re Lear shakespeariano «He met the Night-Mare / and her nine foals».
Come abbiamo visto, generato dall’antico sassone il termine nightmare ha vissuto una doppia vita: termine scientifico per identificare una patologia del sonno e termine popolano per indicare un demone notturno. Come renderlo al meglio in italiano?
Alcuni traduttori hanno scelto l’accezione scientifica ed hanno utilizzato un corrispettivo italiano, “incubo”, termine egualmente d’élite. Altri traduttori hanno saputo cogliere il fatto che Shakespeare stesse citando una parola usata dal popolo, quindi hanno scelto un termine nato anch’esso dal mondo delle scaramanzie popolane: “versiera”. Ma questa indica una strega, ci vorrebbe qualcosa di più legato al mondo dei sogni: come venivano chiamati i sogni ai tempi di Shakespeare? Non si usava certo il termine “incubo”, legato al latino medievale e quindi “termine alto”, e visto che i sogni sono immagini che appaiono nella mente, per tutti sin dalla nascita dell’italiano i sogni sono stati... fantasmi!
Tanto i tre padri della lingua italiana - Dante, Petrarca e Boccaccio - che i grandi letterati dei secoli successivi hanno indicato i brutti sogni con un termine che in greco significa “apparizione”, differenziando bene tra il maschile fantasma e il femminile fantasima. Quest’ultimo termine è ormai praticamente in disuso, ma ha conosciuto un passato illustre.
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