Abbiamo visto nella precedente puntata che fino all’Ottocento per gli inglesi la parola nightmare, di antica discendenza sassone, era di utilizzo abbastanza vago. Per i manuali medici serviva ad identificare i disturbi del sonno, ma è un uso tardo: sin dalla notte dei tempi il popolo identifica nel termine il demone notturno per cui si scrivono filastrocche scaramantiche.
Quando nell’Ottocento gli italiani si trovano nella condizione di dover tradurre il nightmare, nascono dei problemi: come rendere qualcosa che neanche gli inglesi sanno identificare bene?
Stiamo parlando della filastrocca scaramantica presente nel Re Lear di William Shakespeare («He met the Night-Mare / and her nine foals»), scritto probabilmente intorno al 1606. Assodato che neanche l’autore sapesse bene cosa fosse un nightmare (visto che non lo usò mai in alcuna altra opera con la stessa firma e che esistono versioni differenti del testo, in cui può leggersi anche nightmoore), come può un traduttore italiano rendere bene quel termine?
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