Il titolo Quantum of Solace si riferisce a un racconto inserito nella raccolta Solo per i tuoi occhi (For Your Eyes Only, 1960) e che, caso unico nella bibliografia di Ian Fleming, vede James Bond solo come comprimario. Si tratta di un tentativo poco riuscito di scrivere narrativa mainstream, frutto della discriminazione della solita critica che bollava i romanzi di 007 come “solo intrattenimento”.

Che per il racconto psicologico Fleming non fosse granché dotato lo dimostra anche la prima parte de La spia che mi amava (The Spy Who Loved Me, 1962) nel quale addirittura cerca di entrare nei panni di una giovane donna cogliendone (con risultati a volte risibili) le sfumature interiori. Non è che tutti possano fare tutto. Lo dimostra Marc Foster, pluridecorato regista-autore de Il cacciatore di aquiloni (2007) chiamato a nobilitare il Bond 22.

          

Considerato che le scene d’azione sono “sempre” affidate alla seconda unità che studia lo stile Bond apportando casomai qualche cambiamento di gusto ed estetica per mantenere il modello al passo con i tempi (e da Casinò Royale l'influsso della tecnica “sporca” della serie Bourne costituisce una vera e propria rinascita del filone) Foster confeziona un prodotto con qualche guizzo (la scena dell'opera a Bregenz per esempio) ma privo dell'appeal che Sam Mendes saprà inserire in Skyfall.

A molti fan di Bond (anche di quello nuovo) Quantum of Solace non è piaciuto. Considerato troppo corto, poco avvincente e coinvolgente è stato dichiaratamente un flop. Malgrado tutto, non sono d'accordo. È vero che è il più corto di tutti e manca un pezzo di sceneggiatura che coinvolgeva il cugino di Mr. Greene in una sottotrama che poteva rivelarsi interessante, e soprattutto il suddetto Greene (interpretato da Mathieu Amalric, altre volte eccellente in altri ruoli) è un nemico veramente ridicolo per il nuovo 007. Nel pestaggio finale, benché munito di ascia, non fa veramente il peso con lo scatenatissimo Bond. Ma il film tiene.

È in pratica una seconda parte di Casinò Royale e apre alla continuity del Quantum (nuova SPCETRE) che poi verrà lasciata per un poco a riposo nel seguente film.

          

Bond è sicuramente il nuovo personaggio delineato nel film precedente. Non rinuncia a brevi ma intense parentesi seduttive (la scena con Gemma Arterton di schiena è un piccolo gioiello) si batte in auto, con le armi da fuoco e a mani nude con la dovuta energia. Ovviamente poco importa se nel prologo dal lago di Garda passiamo a Siena nel giro di un paio di curve, è questa la magia della serie. La capacità di dipingere un mondo che è simile ma non identico al nostro. Un mondo di grandi avventure. E qui tra Haiti, l'Italia, l'Austria e la Bolivia lo spettatore ha l'occasione di seguire 007 in una girandola di avventure che mescola in vecchio con il nuovo.

Il cattivo che si nasconde dietro un'organizzazione ecologista, la bella contesa ma animata da spirito di vendetta (perfetta Olga Kurylenko), l'organizzazione che “nessuno vede”... elementi questi noti all'appassionato, cui si sommano il tradimento, le manovre losche della CIA (da cui si esime però il nuovo Leiter nero) e l'ambiguità della morale all'interno dello stesso MI6 che vede M in posizione difficile per difendere il suo agente. Queste sono novità e non da poco, che si abbinano perfettamente con l'intreccio personale che porta in primo piano l'amicizia tra Bond e Mathis.

Olga Kurylenko
Olga Kurylenko
Ancora una volta Giancarlo Giannini gioca con tutta la sua abilità il ruolo del capo missione che lo stesso Bond ha a torto indicato come traditore. Sono rimasti amici, tragicamente, ed è proprio a Mathis che Bond chiede aiuto nel momento in cui più si sente solo.

          

Finalmente dopo quasi cinquant'anni al cinema è possibile inserire quella frase che già compariva in Casinò Royale (il romanzo). «Con il passare degli anni le distinzioni si fanno più incerte ed è difficile distinguere gli amici dai nemici». Questo è il fulcro dell'intero film e la fina drammatica di Mathis (in un cassonetto nelle vie di Caracas) suggella un momento di rara drammaticità nella serie. «Perdoniamoci» dice all'amico che lo sostiene morente. Nuovamente intuiamo una commozione virile nell'agente 007 che rinuncia a frizzi e lazzi da personaggio a fumetti per acquisire una dimensione più profonda senza tradire la sua natura. Che è quella del disperato, del combattente, dell'uomo in cerca di vendetta così roso all'interno da non provare nulla.

Picchia, spara, insegue, uccide i suoi nemici, ma protegge Olga, si duole per Gemma e, alla fine, quando finalmente chiude il conto rimasto troppo a lungo aperto con l'uomo che ha distrutto l'amata Vesper è capace di fare un passo indietro. «Torni, Bond, abbiamo bisogno di lei» gli dice M tra le nevi di Kazan. E 007 si volta con quel sorriso triste, affasciante realmente fleminghiano risponde. «Non me ne sono mai andato».

Un capitolo forse non perfetto ma non certo il peggiore. Un film di raccordo nel reboot della serie.