Il piano di teoriche sanzioni che stavo elaborando prevedeva l’invio di un’infuocata e-mail una volta rientrato a casa.
Ero disposto anche a subire le estreme conseguenze di una mia cacciata da Facebook se lei avesse segnalato quella mia forma di abuso ma non me ne fotteva nulla, d’altronde sarebbe stata una scusa buona per liberarmi da quella forma di dipendenza, da quella socialità artificiosa, alla quale dedicavo fin troppe ore della mia giornata.
Quando, dopo essermi prodotto in una camminata a passo fin troppo spedito, raggiunsi la mia vettura controllai immediatamente se mi fossi beccato una multa poiché avevo pagato il parcheggio per un tempo molto inferiore rispetto a quello che avevo effettivamente trascorso all’interno della stazione.
Per fortuna, ed era la prima buona notizia di quella giornataccia, il parabrezza della mia macchina era libero dalla presenza di quel molesto foglietto di carta.
Prima di mettermi alla guida mi liberai dell’impiccio di quella giacca da cerimonia che lanciai sul sedile posteriore.
Non mi preoccupai nemmeno troppo delle due automobili parcheggiate vicino alla mia Punto perché le toccai entrambe, attuando una strategia da “botta avanti e botta indietro” che mi permise di uscire da quello striminzito spazio senza nemmeno sprecare troppo tempo in accorte e civili manovre.
Di certo non mi stavo comportando da cittadino modello ma, in fondo in fondo, l’unica persona con cui avrei dovuto prendermela per quanto accaduto ero io.
Lei, d’altronde, mi aveva avvisato:
“...sono molto imprevedibile, da me bisogna aspettarsi un po’ di tutto: prendetemi così come sono, con i mie sbalzi d’umore, le mie decisioni avventate, i miei tentennamenti e miei slanci improvvisi!!!”.
Evidentemente avevo fatto affidamento sui suoi slanci improvvisi rispetto ai tentennamenti, puntando tutte le mie fiches sul colore sbagliato.
Guidai per qualche minuto con il pilota automatico inserito senza analizzare i colori, i rumori e i suoni provenienti dal mondo circostante.
Il mio radar nervoso non si attivò nemmeno quando un dissennato automobilista, proveniente dal senso opposto di marcia, invase per qualche istante la mia corsia prima di ritornare all’interno della propria carreggiata.
Solo dopo un attimo di disorientamento mi resi conto, grazie allo specchietto retrovisore, di aver sfiorato l’impatto con una pantera della polizia che si stava probabilmente producendo in un disperato inseguimento.
Quando arrivai sotto casa un agonizzante sole terminava il suo quotidiano turno di lavoro e lasciava il palcoscenico a un cielo scuro che avrebbe portato con sé un po’ di apprezzata frescura.
Prima di allontanarmi dal posto di guida indirizzai uno sguardo verso lo specchietto retrovisore per verificare lo stato di tensione disegnato sul mio viso.
Dovevo tranquillizzarmi e indossare una maschera, la solita maschera: quella dell’anonimo impiegato che rientra a casa dopo una piattissima giornata in ufficio.
Non volevo infatti che un eventuale vicino, incrociato salendo le scale, potesse prendere atto della crisi esistenziale che stavo vivendo.
Se mi avessero beccato quella notizia sarebbe passata di bocca in bocca entro il giorno successivo.
Dopo un paio di rampe di scale, incontrai un posto di blocco presidiato dalla signora Lifatti.
“Buonasera, Daniele”.
“Buonasera, signora”.
Quella donna aveva i cinerei capelli raccolti in una cuffia, un paio di ciabatte spelacchiate, il viso struccato e tanta voglia di farsi “Lifatti” miei.
“Le è accaduto qualcosa?”.
“Perché?”.
La mia maschera era già caduta.
“Lei non sa nascondere molto bene i suoi stati d’animo, caro ragazzo”.
Quella casalinga disperata si scostò appena in tempo perché l’avrei travolta se avesse continuato a rovistare tra i miei stati d’animo.
Decisi di ignorare un velenoso commento che mi giunse alle orecchie una volta che l’ebbi superata.
“Questi uomini non sanno proprio perdere con le donne!”.
“Stronza”.
Quell’epiteto mi uscì fuori flebile e senza peso perché non volevo inimicarmi ancor di più una serpe del genere.
Mi sottrassi al preludio di un’ipotetica rissa verbale perché quella donna, malgrado tutto l’acidume veicolato dalle sue parole, mi garantiva, settimanalmente, una porzione della sua pasta al forno multipiano, imbottita di ogni squisitezza; delirio per la gola ma, quando esageravo, tortura per lo stomaco.
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