Feci in tempo anche a notare come l’aspetto di quel luogo di transito era molto migliorato rispetto al recente passato, grazie alle Olimpiadi da poco archiviate, il cui merito era stato quello, malgrado gli scetticismi iniziali, di dare una bella rinfrescata all’immagine della nostra rattrappita città.
La Torino operaia aveva lasciato spazio a una Torino rampante e moderna, divenuta, finalmente, anche un polo di attrazione turistica.
Avevo già pianificato ogni minimo dettaglio. Quando “la straniera” sarebbe arrivata, io, il suo principe sabaudo, le avrei fatto da cicerone, sempre che avessimo trovato la forza necessaria per trascinarci fuori dalla mia camera da letto.
Malgrado fossi convinto che il primo impatto con la nostra stazione tirata a lucido non l’avrebbe delusa avevo provato a consigliarle di viaggiare in auto, suggerimento che lei aveva rispedito prontamente al mittente.
“...non mi piace guidare per ore e poi non voglio perdere di vista il panorama quando viaggio. Il mondo che ci circonda è pieno zeppo di attrattive e va osservato con la testa fuori dal finestrino del treno in corsa. È una delle cose più affascinanti che ci possano essere!!!”.
Stralci delle nostre discussioni emergevano dalla mia memoria. Dialoghi nei quali solitamente i suoi tre punti esclamativi ponevano fine alla discussione.
Mi ero ormai convinto che la struttura semantica delle sue frasi fosse uno degli elementi che avesse contribuito a generare quello stato di attrazione perenne tra noi; le sue parole, così ben selezionate e assemblate, difficilmente scadevano nel banale e, tra l’altro, alcune sue risposte riuscivano anche a sorprendermi. Negli scambi di e-mail con l’universo femminile ciò era avvenuto assai raramente.
Continuai quella sfiancante peregrinazione dando un’occhiata ai negozi che mi circondavano finché mi fermai di fronte ad una bancarella di fiori.
L’idea di lanciarmi in quell’acquisto non era poi troppo originale perché, a ben pensarci, era stata lei stessa a suggerirmelo:
“...amo profondamente i cioccolatini ripieni di liquore, i peluche a grandezza naturale, le penne stilografiche, i quadri di Degas, i mazzi di fiori, i libri nelle edizioni originali e i fusti americani che fanno i bagnini in alcune serie televisive estive. Mi piacerebbe rischiare di annegare pur di farmi salvare da uno di quei marcantoni!!!”.
Quell’ultima affermazione era un classico nel copione del nostro rapporto a distanza. Lei amava infatti alternare slanci poetici e alte speculazioni filosofiche con considerazioni molto meno elevate che inseriva nei suoi discorsi probabilmente per provocarmi e osservare poi divertita le mie stizzite reazioni. Io, d’altronde, cadevo spesso nella sua trappola dialogica e ci rimanevo impigliato sino al momento in cui lei mi svelava di aver scritto qualcosa di poco intelligente al solo scopo di disorientarmi.
“Ha bisogno?”.
Una fioraia un po’ appassita, dalla folta capigliatura grigio muro, mi indirizzò quella richiesta.
“Vorrei un mazzo di fiori”.
“Destinato a chi?”.
“Perché lo vuole sapere?”.
Ero di nuovo sulla difensiva ma stavo ormai valutando la possibilità che fosse in atto una congiura nei miei confronti. Tutta quella contagiosa curiosità, manifestata dalle persone che stavo incontrando, sembrava fare parte di un meccanismo perverso in cui io ero il fulcro della loro attenzione.
Forse ero un inconsapevole attore circondato da una serie di comparse che stavano mettendo in scena una specie di Truman show piemontese del quale ero l’unico protagonista.
“Non si preoccupi, non sono dei servizi segreti. Gliel’ho chiesto perché in ogni composizione devo tenere conto del tipo di rapporto che il cliente ha con la persona a cui è destinata”.
Ai miei occhi quella piccoletta dallo sguardo dolciastro continuava ad apparire soprattutto una vecchia impicciona.
“Un mazzo di rose rosse andrà benissimo”.
“Se lo dice lei”.
La fioraia dopo aver assemblato quel mazzo monocolore lo strinse con un nastro rosso fuoco cosparso di decine di cuoricini argentati.
Mentre compì quell’operazione con consumata lentezza mi dedicò uno sguardo allusivo con il quale intendeva comunicarmi che, malgrado la mia ritrosia, lei aveva capito tutto.
Io avrei potuto vendicarmi per quella forma di sottile invadenza dicendole che, vista la sua velocità di esecuzione, i fiori rischiavano di seccarsi ma preferii non far degenerare quella discussione.
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