Prologo del romanzo ristampato nel 2013 da Fratelli Frilli Editori. (ISBN 978-88-7563-822-1)
Alassio sembrava una luminaria natalizia stesa davanti al mare, a riflettersi sull’acqua immobile, quasi lacustre. Era lontana, lontanissima, nello spazio e nel tempo. Lì il tempo non c’era, solo la notte con il suo silenzio, un silenzio che dominava lo spazio, l’ombra e la penombra. E la luna era un pendolo di peltro immobile, appeso sopra il mondo, sulle foglie di latta dei limoni, sulle rose grigie, sulle lame nere della cancellata arrugginita.
In mezzo al giardino una riproduzione in marmo dell’Attis di Donatello sovrastava una fontana morta. La luce del plenilunio colava chiara sulla ghiaia del viale, a formare pozze pallide sotto l’intrico alto dei rami. Sul fondale, una scalinata polverosa portava all’ombra di una loggia, sovrastata da un timpano che proclamava la sua solennità. Al piano superiore stava una fila di finestre chiuse con le persiane scrostate. Chissà se mai, in un passato difficile, s’erano aperte al vento abbagliante che arrivava dal mare, pieno di aromi e di sogni... Non sembrava una casa dove le risate fossero corse da una stanza all’altra, come fremiti d’aria fresca a muovere la calura estiva. Era difficile immaginare che qualcuno avesse apparecchiato in giardino una tavola con la tovaglia di lino immacolato, rigido di ricami, e che odore di aglio dorato e pomodori avesse invaso la cucina. Chissà se un raggio di sole aveva mai brillato sulla condensa formata dal vino bianco ghiacciato, nelle caraffe panciute. Le rose ormai eran rovi ed i gerani erano intrichi selvatici, sarebbero stati un buon rifugio per giocare a nascondino: quell’inerzia malsana non evocava però il ricordo di corse e strilli di bambini, era come se tutto fosse stato così da sempre, come se fosse nato così, era una conchiglia erosa dal tempo, immemore del mare.
Eppure una finestra aveva le persiane aperte e dietro le tende pesanti si poteva vedere la luce dorata di un lampadario. Era al piano terra, accanto al portone d’ingresso invisibile nel buio della loggia. Quindi la conchiglia aveva il suo mollusco, che dietro i vetri chiusi percorreva le sue ore ed i suoi giorni, abituato alla muraglia di silenzio che lo isolava dal mondo. Oltre quella barriera la vita ricominciava, i grilli erano un coro intenso e vivace, le lucciole danzavano al ritmo dei loro lumini amorosi e lentamente, man mano che ci si allontanava, affioravano voci di gente, musiche che accompagnavano le cene sulle verande dei ristoranti, suoni di strada, e qualcosa arrivava perfino dall’Aurelia laggiù, dal groviglio di fanali bianchi e rossi delle auto che andavano e venivano come processioni di formiche, regolate da codici misteriosi.
E davanti a quell’anfiteatro magnifico di splendore notturno stava il mare, preso da una sonnolenza benevola, quasi senza onde.
Forse il primo colpo sarebbe potuto sembrare il ciocco di un petardo molto potente o di un fuoco d’artificio difettoso, scoppiato senza far luce, ma gli altri tre in rapidissima successione non potevano essere altro che colpi di pistola. Dopo una pausa prolungata il quinto.
Arrivavano dalla conchiglia. Il tempo passava senza che succedesse altro, ma forse qualche rumore dalla strada si poteva sentire: cassetti che cadevano, armadi che venivano svuotati, sedie che intralciavano il passo, porte che sbattevano, senza una voce. Dopo tanto silenzio, ora che si udiva qualcosa, era intimamente legato alla morte.
Qualcuno spalancò la porta, impossibile vedergli la faccia nascosta da una matassa di ricci scuri. Corse sulla ghiaia, aprì il cancello che cigolò come d’obbligo e si diresse, sempre correndo verso valle. Si vedeva che non era una persona abituata a quell’esercizio, scivolava sulle suole di cuoio e mulinava con le braccia per tenersi in equilibrio. Si sporse dal muretto per scrutare la strada, dal basso apparvero i fari di un mezzo che doveva essere grosso, un camion o qualcosa di simile che si stava avvicinando. Il tizio diede un’occhiata anche verso monte, ma lì, se fosse arrivato qualcuno sarebbe stato più difficile accorgersene, perché la via era nascosta dal fogliame. Decise di riprendere la sua corsa, forse valutando che sarebbe riuscito ad arrivare in tempo in qualche punto del percorso, prima di essere illuminato dai fanali del camion, ammesso che fosse diretto lassù. Finalmente arrivò a quella che doveva essere la sua destinazione: una stradina laterale dal fondo erboso che sembrava perdersi nella campagna. Pochi metri dopo l’inizio, nascosta dall’ombra di un gigantesco ippocastano, c’era un’auto. Il fuggiasco aveva scelto bene il luogo dove nasconderla, perché risultava pressoché invisibile a chi avesse percorso la principale, e poi era ancora distante dal centro del paese. Era una vettura sportiva, piatta come una sogliola, il rosso smorzato dal buio. L’uomo aprì la portiera, si sedette e diede contatto.
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