Il mondo non basta (The World Is Not Enough) arriva allo scoccare degli anni Novanta: 1999 è infatti la data del film. Diretto da Michael Apted, del quale ricordiamo Gorilla nella nebbia, e che prosegue la linea produttiva che vuole un nome del cinema d’autore al comando di una complessa macchina, che invece è basata tutta su una rodata professionalità, con tanto di imperante seconda unità che si occupa di uniformare ai canoni le scene d’azione e quant’altro rientri nel gusto del pubblico.

Il film. Malgrado ogni sforzo profuso non è del tutto convincente pur avendo dei meriti. Se Pierce Brosnan è più che mai convinto del suo ruolo e M ormai è diventata un’icona, qualcosa scricchiola proprio nelle fasi più “bondiane”. Prima di tutto i cattivi.

      

Ottima l’idea di inserire un personaggio femminile. Sophie Marceau non è più al Tempo delle mele e si vede. Passionale, affascinante, è un’amante nemica perfetta e pure la sua storia di vittima, soggiogata dal proprio carnefice sino a prenderne il controllo funziona perfettamente, e meno male che non scelsero Sharon Stone che, per il personaggio, sarebbe stata anche troppo vecchia.

Lo scambio di battute finali quando Bond le punta la pistola e lei risponde «Non puoi uccidermi, mi mancheresti» ha nella risposta del nostro: «Io non manco mai», un doppio senso nerissimo ed efficace. Purtroppo Renard, il cattivo vicario, quello duro che deve fare veramente paura, è un insieme di luoghi comuni (primo tra tutti il proiettile nel cervello che nessuno può spostare e lo porterà lentamente alla morte ma lo priva di ogni sensazione di dolore o piacere). La scelta di Robert Carlye, che sarebbe un ottimo attore, è discutibile. Rispetto a Bond è un piccoletto accidioso, un “moscardino” come si diceva nei vecchi thriller, che non fa il peso con un Bond sempre elegantissimo e duro. Però non è qui che si annidano i difetti del film.

Sophie Marceau e Pierce Brosnan (copyright Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc.)
Sophie Marceau e Pierce Brosnan (copyright Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc.)
Le location meritavano davvero di più che poche inquadrature protratte per una decina di secondi. Istanbul, il Caucaso, Baku, tutto appena suggerito e non particolarmente caratterizzato. Manca quell’afflato dei molti Bond della prima serie in cui anche il paesaggio fa parte del glamour. La scena di inseguimento con le paraslitte sembra copiata da un film di Jackie Chan girato pochi anni prima: First Strike, il quarto della serie Police Story. Là. è vero, tutto era girato con la cialtronesca frenesia hongkonghese, qui nvece uno scarso commento musicale accompagna una scena di inseguimento sugli sci che avrebbe potuto superare anche le migliori della serie. Invece tutto sembra previsto, scontato, privo di mordente. Uguale problema per lo scontro nella fabbrica di caviale di Zukov che pure metterebbe in scena elicotteri dotati di motoseghe, commando e auto esplosive.

           

C’è un senso di ripetitività proprio nella concezione dell’azione che rende tutto un po’ stantio, come se a gran voce si richiedesse un cambiamento proprio del cast tecnico. E ciò si avverte anche nell’inziale inseguimento sul Tamigi che rispecchia scene già viste senza aggiungervi nulla.

Pierce Brosnan e Desmond Llewelyn (copyright Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc.)
Pierce Brosnan e Desmond Llewelyn (copyright Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc.)
Al di là di questo mi piace Denise Richards nei panni di una pseudo Tomb Raider (sono gli anni dei film di Angelina! E del picco del successo del videogioco) e anche Maria Grazia Cucinotta, benché non spiaccichi parola o quasi, “arrotonda” bene le curve.

Impossibile non citare invece il momento per gli amanti del genere più struggente. Desmond Llewelyn compare per l’ultima volta nella serie (morirà pochi mesi dopo) lasciando un vuoto che il Monty Phyton John Cleese non sarà in grado di colmare. Ci regala un’uscita di scena da manuale con due consigli per Bond. «Mai farsi vedere sanguinare e aver sempre pronta una via d’uscita». Lo stesso Brosnan sembra toccato profondamente. Stonano invece alcune battute a doppio senso nel finale che davvero abbassano il tono della storia con un’ironia priva di utilità.

Moneypenny non ha ancora trovato una degna sostituzione, le preferiamo la dottoressa in culottine di pizzo nero che rinnova la licenza a Bond, dopo averne verificato il vigore.

Di certo ci sono alcuni spunti interessanti, soprattutto l’idea che si possa diventare “personaggio” invece che semplice funzionario incaricato di affidare la missione al nostro, ma il plot non è ancora compiutamente risolto. In Skyfall uno spunto simile verrà svolto decisamente meglio.