La metà superiore del tavolo dove la gaijin aveva trovato riparo fu strappata dalla violenza dei proiettili come se fosse stata di cartapesta. Un’altra guardia del corpo di Saburo rotolò sul pavimento tenendosi il ventre insanguinato. I suoi compagni contrattaccavano. Spari, urla, gesti frenetici per ricaricare. Qualcuno non ce la fece.

Mimy serrò la mascella e si appoggiò al bordo del bancone con una mano per saltare allo scoperto. Sentì i muscoli delle cosce e della schiena contrarsi nello sforzo mentre superava la fragile barriera già crivellata dai proiettili. Rotolò sul pavimento atterrando in mezzo ai sicari. La Beretta sparava ad altezza d’uomo emettendo brevi lampi giallastri. I suoi occhi registrarono un balletto di corpi sconvolti dall’impatto dei proiettili.

La battaglia stava prendendo una piega differente da quella immaginata dagli yakuza. Fattori imprevisti erano entrati in scena.

Mimy Oshima, che correva e sparava invisibile come un fantasma.

La gaijin, che aveva sostituito il caricatore e vomitava fiammate di piombo nel tentativo di fermare il gigante mascherato.

E infine lo straniero biondo con la lacrima tatuata sul viso.

Peter Handerof aveva spinto al riparo la ragazza che era con lui per un insopprimibile senso di cavalleria. Poi aveva impugnato la Glock 17 costruita con parti in plastica e ceramica per essere invisibile al metal detector. L’unica arma che era riuscito a portare con sé in Giappone. Aveva abbattuto due yakuza sorprendendoli da un’angolazione impensata. Ora puntava direttamente verso Saburo Hida.

La bionda lo intercettò solo in quell’attimo. - Scheisse! - urlò con rabbia. Il suo bel viso era stravolto dall’odio, e un filo di sangue le scendeva sino alle labbra e poi giù, verso il mento, conferendole l’aspetto di una vampira.

Prese la decisione in fretta. Puntò il braccio armato e sparò. Questa volta mirò alla testa come le avevano insegnato alla scuola della Bekaa, in Libano. Sapeva che, con i proiettili Glaser, era inutile sparare due volte. Senza la protezione di un giubbotto antiproiettile avrebbero spappolato qualsiasi bersaglio umano.

Mimy riprese l’equilibrio dopo una capriola nel momento preciso in cui i suoi occhi registravano la mossa di Peter Handerof. Vide la sua testa sciabolare indietro scoperchiata dall’impatto del proiettile. Quell’uomo così misterioso e affascinante, che non aveva conosciuto eppure aveva sentito stranamente affine, perse il controllo delle sue reazioni espirando per l’ultima volta ancor prima di toccare il suolo.

Con un urlo di rabbia Mimy fece per scagliarsi verso la bionda e il santone, ma qualcosa venne a sbarrarle la strada.

Uno degli yakuza del commando arrivato dalla rampa. Giacca plastificata gialla, occhi iniettati di sangue, bava alla bocca. Probabilmente era pieno di anfetamina. In pugno non aveva che una wakizashi, una corta spada da samurai. Affilata come un rasoio. Nonostante l’era delle armi elettroniche gli yakuza preferivano i buoni vecchi sistemi per sbudellarsi.

Peggio per loro.

Mimy alzò il braccio armato premendo il grilletto con furia. Il colpo partì impreciso mancando lo yakuza. Ma lei non ebbe l’opportunità di sparare di nuovo. Il carrello scattò all’indietro mentre il percussore batteva a vuoto. Aveva finito i proiettili.

L’agente del Khoan non perse tempo neppure a imprecare. Evitò il fendente che lo yakuza le sferrò con un urlo selvaggio. Mentre oscillava sul tronco la nippocoreana aveva già impugnato il coltello che teneva infilato nella manica. Bastava una leggera rotazione del polso per farlo scivolare dalla custodia nel palmo della mano. Le dita si serrarono sull’impugnatura di pelle di squalo ad alta aderenza. La lama era stata progettata dalla Cold Steel, una fabbrica che si ostinava a imporre nomi occidentali a prodotti di fattura squisitamente nipponica. Quel particolare modello leggermente ricurvo a due tagli in punta era denominato Steel Fang, zanna d’acciaio. Mimy preferiva chiamarlo con il nome che da sempre avevano usato le donne samurai per quel tipo di pugnale: kaiken. Una lama che, nel passato, era servita equamente per suicidi rituali e assassinii di concubine gelose.