Mimy scivolò sul terreno trovandosi a un palmo da una ragazza con il cranio sfondato. Il corpo, sebbene tecnicamente già morto, era scosso da piccoli sussulti spasmodici. La mano della nippocoreana corse all’interno della giacca. Non impiegò più di un secondo a estrarre la Beretta 92F modificata con caricatore bifilare. Puntò l’arma davanti a sé alla ricerca di un bersaglio.
- Maledizione, Ninja, qui sta scoppiando l’inferno. Chiama la squadra speciale! - urlò prima di rendersi conto di avere spento il circuito di comunicazione. Imprecando rotolò su se stessa, inseguita dai proiettili che sollevarono piccoli geyser sul pavimento di plastica.
I sicari non facevano distinzione tra le vittime, ma il loro obiettivo principale era solo uno.
Saburo Hida.
Le sue guardie del corpo cercarono di reagire in fretta al pericolo. Due si frapposero tra il loro capo e i killer che arrivavano di corsa dalla rampa. Impugnarono le corte mitragliette ultraleggere, piccoli gioielli di balistica con caricatore ricurvo. La loro difesa si perse nell’aria. Entrambi gli uomini furono falciati dai sicari che arrivavano dall’ascensore. Sulle tenute bianche si aprirono fiori scarlatti mentre i due corpi venivano trascinati a terra in una nuvola di sangue e budella.
La gaijin non aveva perso tempo. Mimy non aveva sbagliato a giudicarla. Appena aveva visto precipitare dall’alto la disgraziata kampai aveva dato un calcio al tavolo creando un’improvvisata barriera. Vi si era accucciata dietro coprendo il santone con il proprio corpo. Contemporaneamente aveva estratto la Desert Eagle nichelata con canna da 12 pollici aprendo il fuoco senza curarsi della clientela del locale. Due dei sicari sbucati dagli ascensori erano stati sollevati da terra come da una catapulta invisibile schizzando fiotti purpurei contro la parete esterna delle cabine. La reazione scatenò gli yakuza che presero a sparare indistintamente su tutto ciò che si muoveva.
Un’infilata di proiettili disintegrò la parete di plexiglas che racchiudeva la postazione dei deejay. Nessuno dei quattro operatori si salvò. Crollarono sulle consolle provocando una serie di sfrigolii che coincise con l’improvvisa scomparsa di ogni accompagnamento musicale. Il silenzio fu riempito da urla, fragore di spari e dai rintocchi agghiaccianti dei meccanismi a scatto delle armi.
Mimy aveva trovato un relativo riparo dietro l’angolo del bancone. Sparò due colpi verso il gruppo degli yakuza in arrivo dalla pedana. La Beretta sussultò, strappando verso l’alto. I proiettili immersi nel teflon intercettarono il primo degli yakuza a mezz’aria costringendolo a una caduta scomposta. Mimy saltò oltre il bancone, inseguita dai colpi. Frammenti di vetro e plexiglas le caddero addosso come una pioggia tagliente. Si sentì investita di liquido appiccicoso. Per un attimo credette che fosse sangue, poi si rese conto che si trattava di liquore che colava sul pavimento dalle bottiglie fracassate. La barista tatuata sembrava essere stata spinta a forza contro il vetro dietro il bancone. Giaceva a terra con lo sguardo stralunato e la parte inferiore del viso ridotta a una poltiglia sanguinolenta.
Riprendendo fiato Mimy accese la radio. - Cazzo, Ninja, dove siete? Qui è l’inferno! - Senza aspettare risposta si puntellò sul bancone protendendo il braccio armato. Aveva i polmoni in fiamme e il cuore martellava forsennatamente. Dov’era Saburo?
Sulla pista la sparatoria proseguiva violentissima. Nel giro di pochi attimi furono esplosi centinaia di colpi che andarono a mordere il rivestimento delle pareti, le specchiere, la carne innocente dei clienti che scappavano. L’agitarsi in preda al panico di personale e clientela impediva il tiro.
Non che da una parte o dall’altra ci si facesse troppi scrupoli. Il gigante mascherato scaricò lo SPAS su un travestito che aveva osato intralciargli il cammino; avanzava come un tank umano verso la fragile barricata difensiva di Saburo. La bionda gli scodellò due colpi in pieno petto. Con un grugnito il colosso fu sollevato da terra e proiettato all’indietro; andò a schiantarsi con un movimento quasi comico contro la parete.
Niente sangue. Stordito ma illeso, l’uomo si alzò con la camicia bruciacchiata dai colpi. Giubbotto antiproiettile, rivestimento in kevlar. Poteva fermare un piccolo obice.
Il killer si liberò dell’impermeabile facendolo volteggiare come un mantello, poi inserì altre cartucce. Puntò e sparò senza neppure mirare.
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