Primo vettore. Mimy lo intercettò alzando casualmente lo sguardo verso la sommità della rampa che scendeva dall’ingresso alla pista da ballo. In cima allo scivolo a serpentina era apparso un gruppo di uomini che anche la variopinta e certamente disincantata clientela del Kaishaku tendeva a evitare. Cinque, vestiti con giacche troppo grandi di tessuto plastificato dai colori impossibili. I capelli irrigiditi dal gel spuntavano come aculei dai crani che gli occhiali avvolgenti rendevano simili a teste d’insetto. Mimy non aveva bisogno di vedere i tatuaggi che certamente ricoprivano torsi e braccia come arazzi viventi per capire chi erano. Yakuza. Mafiosi locali, violenti e ottusi nella loro convinzione di essere i padroni del mondo.
Il gruppo aveva imboccato lo scivolo scostando rudemente i buttafuori del locale. Parlavano e ridevano a voce alta. Una delle ragazze kampai si fece loro incontro scivolando sui pattini monofilari, pronta a scortarli nella posizione migliore. Inaspettatamente uno degli yakuza l’afferrò per un braccio colpendola al volto con uno schiaffo. La ragazza volò dalla rampa andando a schiantarsi sulla pista da ballo come un aquilone improvvisamente privato del vento.
La musica martellava, ma tutti, senza eccezione, sembrarono dirigere la propria attenzione verso il gruppo di yakuza. Era questo il loro scopo. Istantaneamente i mafiosi estrassero dalle giacche mitragliette compatte allungate da incongrui silenziatori a tubo bucherellati. A occhi sbarrati Mimy assisteva allo spettacolo con la sensazione di essere schiacciata da una mano gigantesca. La musica copriva il rumore della lotta e delle grida del pubblico in fuga, ma la nippocoreana riuscì quasi a sentire fisicamente l’impatto dei proiettili che falciarono i buttafuori intervenuti. Con un urlo selvaggio gli yakuza si gettarono lungo lo scivolo travolgendo tutto quello che trovavano sulla loro strada.
Secondo vettore. Da una differente direzione, ignorata, ora che tutti erano concentrati sui cinque che avevano appena catapultato la ragazza dal terzo piano.
Gli ascensori. Le due cabine arrivarono a livello terra aprendosi con una sincronia quasi cronometrica. Per un bizzarro gioco dell’immaginazione questa volta la cacofonia circostante sembrò annullarsi, assorbita dal fischio pneumatico dei portelli che scivolavano lasciando intravedere il secondo gruppo di attacco. Anche questi erano yakuza, ma di un tipo differente, più determinato. Indossavano abiti scuri, nessuna stravaganza, visi segnati dalla violenza. Pistole mitragliatrici UZI e M10. Eppure anche loro non erano che un diversivo.
Guidata dall’istinto Mimy si gettò a terra cercando con gli occhi il terzo, immancabile, vettore di attacco.
La porta di sicurezza che immetteva nello stretto budello di cemento armato dell’uscita antincendio sembrò esplodere verso l’interno della sala, divelta dai cardini mentre qualcosa vi si abbatteva contro con la forza di un tornado.
Il tornado era un uomo.
Gigantesco, avvolto in un impermeabile grigio con i risvolti allungati che ricordavano la cappa di Batman, il nuovo venuto sembrò non compiere alcuno sforzo mentre abbatteva la porta con una semplice spallata. In pugno aveva un fucile SPAS calibro 12 con un gancio assicurato al gomito per sostenere il sussulto del rinculo. Ma l’uomo non sembrava preoccupato della mancanza di precisione che lo scoppio della cartuccia esplosiva avrebbe prodotto costringendo la canna a strappare verso l’alto. Era venuto per sparare nel mucchio e distruggere ogni cosa sulla sua strada. Era alto più di due metri e teneva i capelli scuri raccolti in una sorta di chignon che spuntava all’estremità di una maschera del teatro kabuki. Tengu, il demone.
Aprì il fuoco contemporaneamente ai sicari usciti dagli ascensori. Le loro armi coprivano tutto il raggio occupato dai tavoli ai bordi della pista. Proprio dove stavano seduti Saburo Hida, la misteriosa gaijin e le guardie del corpo.
Una sventagliata di proiettili di vario calibro spazzò il piano inferiore della discoteca senza fare distinzione tra i bersagli. I proiettili Hydra-shock martoriarono corpi, sbriciolarono sedie e tavoli mescolando sangue, materia cerebrale e schegge di plastica in un frenetico turbinio rossastro.
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