Appoggiata al bancone del bar tornò a concentrarsi sul santone. Era un ometto piccolo con il viso tondo, espressivo come un panda. Davvero c’era da chiedersi come migliaia di persone potessero considerarlo il messia di una suprema verità. In effetti il Giappone moderno, e non solo quello a giudicare dall’incredibile numero di proseliti che la setta aveva raccolto in Russia, aveva un terribile bisogno di misticismo ed era disposto ad accettarlo anche dal primo ciarlatano. Perché, agli occhi disincantati di Mimy, Saburo Hida non era altro che un abile millantatore che si era comprato una Rolls-Royce placcata d’oro vendendo lapalissiane idiozie sulla pace universale. I suoi insegnamenti, però, sembravano stridere con i recenti fatti delle metropolitane di Tokyo, Yokohama e Osaka. Nel corso degli incidenti erano rimaste intossicate decine di persone. Ovviamente non c’erano indizi certi, ma numerose indiscrezioni puntavano verso l’Alba della Suprema Verità. Indiscrezioni che Mimy Oshima sapeva essere qualcosa di più che semplici voci, e secondo le quali la setta poteva godere di protezioni anche in alto loco.

Questo riportava Mimy al suo problema principale: Ishi. Poteva fidarsi del suo capo? Rivelargli retroscena che solo lei conosceva? Parlargli del Topo? Oppure dietro la sua insistenza a essere informato di ogni fase dell’indagine si nascondeva qualcosa di sinistro?

Di sicuro Mimy si trovava in una situazione difficile.

Bevve l’ultimo sorso di birra portando distrattamente la mano agli occhiali per azionare il meccanismo fotografico. Un ronzio impercettibile le comunicò che il piccolo gioiello, affidatole dalla sezione tecnica solo dopo la sottoscrizione di una montagna di ricevute e documenti di assunzione della responsabilità in caso di danneggiamento, stava compiendo il suo dovere. Una bella istantanea della faccia rotonda di Saburo che guardava la donna seduta di fronte a lui con aria estatica.

Istintivamente Mimy spostò lo sguardo di pochi gradi. Le belle labbra emisero un fischio silenzioso. Era comprensibile l’espressione del santone: dopotutto anche la carne vuole la sua parte. E la donna gaijin, la straniera seduta davanti a lui, era un pezzo di carne eccezionalmente invitante.

Alta più di un metro e ottanta, bionda, con i lineamenti affilati, il naso leggermente adunco, le labbra sottolineate da una striscia violacea di rossetto. Corpo da pin-up fasciato da una minituta di cuoio corredata da stivali a mezza coscia. Non sembrava una delle solite puttane gaijin che circolavano a Shinjuku. Una donna sensuale ma con una sfumatura pericolosa che Mimy intuì immediatamente.

La osservò per qualche attimo mentre apriva i lembi della giacca da paracadutista per estrarre qualcosa che posò sul tavolo. Una grossa busta gialla che Saburo afferrò con le mani grassocce facendola sparire tra le pieghe del suo doppiopetto color panna.

Mimy trasalì. Per un istante le era sembrato di scorgere qualcosa di familiare spuntare da sotto la giubba della bionda. Il calcio di un’automatica nichelata infilato in una fondina ascellare. Dopotutto, il Topo aveva ragione. Saburo Hida doveva incontrarsi con qualcuno, quella sera, e non certo per contrattare piaceri sessuali, anche se era evidente che la gaijin lo eccitava.

Peccato non poter sentire cosa stavano dicendosi. “Nessun contatto” aveva raccomandato Ishi. Saburo godeva di amicizie importanti. In quei giorni l’interesse della stampa lo aveva infastidito a sufficienza da indurlo a denunciare l’“Asahi Shimbun”, il più diffuso quotidiano del paese, che aveva osato accennare a un suo possibile coinvolgimento nella vicenda degli attentati con il gas cianidrico.

Saburo e la gaijin parlavano animatamente. La nippocoreana scattò una serie di istantanee. Il dispositivo zumò con un sibilo sul viso dell’occidentale. Qualcosa, negli occhi... una luce determinata, pericolosa. Mimy era certa che, se avesse cercato negli schedari dell’Interpol, avrebbe trovato notizie interessanti su quella valchiria.

Al diavolo, doveva scoprire cosa stavano dicendosi.

Si scostò dal bancone del bar come per avvicinarsi alla pista. Fu in quel momento che vide l’uomo.