- Anzi, se ti riesce non sporcare proprio. Vai sul retro, per sicurezza. Io vado a festeggiare il Natale come si conviene.

Nino si avvicina, mi solleva e mi carica su una spalla. È il momento.

- Festeggi bene il suo Natale, Sacro. Spero di non avergliela consumata troppo oggi, la sua Virginia.

Il boss si ferma di colpo, come colpito da un fulmine. Ho toccato le corde giuste. Stringe la mano di Virginia che al suo fianco si è irrigidita. Sfodero il mio tono più arrogante possibile.

- Scusatemi, forse sono stato inopportuno. Credevo che il sesso sfrenato di oggi facesse parte della copertura. Comunque gran culo, Virgi. Complimenti davvero.

Il pugno di Sacro investe il viso di Virginia come un camion in corsa. La ragazza crolla a terra, le labbra spaccate e una cascata di sangue. L’uomo le si getta sopra e la schiaffeggia urlando.

- Puttana! Sei una lurida puttana! Ti sei fatta chiavare, eh?

La colpisce ripetutamente, poi guarda Nino con gli occhi iniettati di sangue e i capelli scomposti sulla fronte. Ruggisce.

- Nino! Fai fuori quella merda!

Nino osserva la scena con il suo sguardo ebete, distratto per un istante. Allunga una mano verso le corde che mi serrano le braccia alla vita e commette un errore imperdonabile. Anche se ho i piedi legati riesco a fare forza e darmi lo slancio. Ruoto sulla sua spalla, allargo le ginocchia e serro il suo braccio e il collo con le gambe. Con i piedi legati è difficile ma posso farcela. Lascio proseguire la rotazione e mi ritrovo a testa in giù, appeso al gigante. Stringo. Tutta la mia massa preme sul suo collo e sotto alla spalla. Stringo tanto da sentire una fitta ai flessori. Nino arranca, poi cade in avanti. Con uno strappo agli addominali evito di pestare la testa e atterro di schiena. Nino è in ginocchio, tenta di liberarsi tirandomi per le ginocchia. Il volto è paonazzo ma resiste. Ruoto su un fianco costringendolo nella stessa posizione e sfruttando il pavimento per fare più pressione sulle sue vertebre. Nino agita le gambe e scalcia. Così non ce la faccio. Urlo in direzione di Virginia che sta lottando con Sacro. La ragazza brandisce una pistola, ma la zuffa col boss è convulsa.

- Virginia! Spara!

In quel momento ruoto di nuovo, mi trovo a faccia in giù e allungo tutto il corpo con uno strattone tremendo. Costringo il collo di Nino ad una piega innaturale. Forzo per alcuni istanti, poi lo schiocco delle vertebre cervicali mi arriva alle orecchie con un senso di liberazione. Striscio in avanti e mi rimetto faticosamente in piedi. Le articolazioni sono in fiamme. Virginia sta ancora lottando: il suo addestramento contro la forza bruta di Sacro. Si rifilano a vicenda diversi colpi, alcuni molto violenti. Un’idea improvvisa mi attraversa la mente. Goffamente mi slancio in avanti verso di loro, all’ultimo riesco ad imprimere una spinta sufficiente e mi lascio andare sfruttando il peso. Travolgo Sacro spingendolo un metro più in là. Virginia, liberata dal peso dell’uomo si alza come una molla e svuota mezzo caricatore sul boss a pochi centimetri da me. Il suo corpo sussulta investito dai proiettili, poi giace immobile in una posa scomposta. Virginia si lascia cadere a terra, il volto insanguinato.

- Siamo vivi...

Le sorrido mentre cerco di liberarmi i piedi tirando per allentare le corde. La ragazza appoggia la pistola sul tappeto e scioglie il nodo ai miei piedi. Le corde che mi bloccano le braccia si sono allentate nella lotta e con pochi movimenti riesco a liberarmi. Ci guardiamo, lei mi sorride.

- Stavolta devo sul serio ringraziarti. Mi hai salvato la vita. Io non so...

Le parole le muoiono in bocca mentre la abbraccio.

- Andiamocene da qui, forza.

La prendo per mano e ci incamminiamo. Arriviamo al corridoio che porta verso l’ingresso e la lascio passare per prima, cingendole le spalle col braccio sinistro. Con un movimento fluido della destra le trafiggo di punta la carotide e tiro fino a lacerare da parte a parte la gola. Un getto di sangue invade il corridoio impregnando i muri e il pavimento con una simmetria diabolica. Poi il corpo di Virginia scivola sulle ginocchia, riverso sulle piastrelle di cotto fiorentino. Le strappo un brandello di abito e pulisco il mio pugnale. Il mio primo serramanico. Mi era caduto nella lotta, ma l’ho raccolto. Cerco le chiavi della Mito, poi mi incammino verso l’uscita. Sono sfinito, non c’è un punto del mio corpo che non sia dolorante. La ferita alla spalla ha ripreso a sanguinare. Apro la porta. Fuori continua a nevicare. Prima di chiudere, getto uno sguardo incolore verso il corridoio. Anche stavolta sono vivo. Mi allontano nella neve, lasciandovi impronte di sangue e violenza. Eccolo, il mio regalo di Natale.

© 2012 Francesco Perizzolo