Non ci penso due volte: attiriamo troppo l’attenzione ridotti come siamo e la spalla ha ripreso a sanguinare. In Reimarusstraße entriamo in un portone rosso aperto. È una palazzina a tre piani, con la facciata marrone scuro. Saliamo fino all’ultimo piano, la ragazza si ferma davanti alla porta di sinistra e armeggia con le chiavi. Il nome sulla targa mi mozza il respiro: Virginia Saetta.

- Devo ringraziarti. Mi hai salvato la vita.

Distolgo lo sguardo. Ho massacrato io tutti i presenti e lei si chiama Saetta di cognome. Non mi risulta che Cosimo Saetta avesse una figlia, ma finché non ne saprò di più è meglio tenere un profilo basso. Bassissimo.

- Sei un poliziotto? - domanda lei a bruciapelo mentre stringe una benda intorno alla ferita.

Una lacerazione superficiale ma fastidiosa, il sangue si è fermato.

- No, non sono un poliziotto.

Non so nemmeno io esattamente cosa sono. Un agente segreto, forse. O più probabilmente solo un disgraziato che rischia la vita per vivere perché non sa fare altro. Non sono nemmeno convinto di essere dalla parte dei buoni, che forse non esistono.

Non stacca gli occhi dai miei. Sono chiari, di un verde azzurro intenso, incorniciati da una manciata di lentiggini chiare. Hanno qualcosa di perennemente languido. I capelli biondo scuro cadono mossi fino a metà schiena. Schiude le labbra come per dire qualcosa, esita, poi parla.

- E allora cosa sei?

Ostinata. Devo inventarmi qualcosa.

- Mi pagano per fare dei lavori. Dovevo incontrarmi con Cosimo Saetta. - mento spudoratamente e per qualche secondo un silenzio grave pesa sulla stanza. - Ho visto il tuo cognome sulla targa, Virginia.

Lei non fa una piega e mi fissa. Poi con una smorfia che rende ancora più sexy le efelidi distoglie lo sguardo.

- Non eravamo parenti. Ero la fidanzata di Mimmo e mi imponeva il cognome. Quello stronzo è morto?

Aggrotto un sopracciglio. Per essere la fidanzata di un cadavere ancora caldo è piuttosto brutale.

- Presumo di sì.

Mento di nuovo: Mimmo Saetta è morto malissimo. Virginia si alza e prende due bicchieri dalla lavastoviglie. Offre del whisky e accetto volentieri. Con la prima sorsata ne bevo metà.

- Non pensare che io sia... malvagia. Mimmo è stato il mio più grande errore. Mi ha reso la vita un inferno.

Vuota il bicchiere in una volta poi mi si avvicina. Lo sguardo è torbido, benché ancora scosso.

- Ho visto la morte, oggi.

Mi sfiora il viso. Le sue dita tremano impercettibilmente. Osservo quegli occhi color del mare e sento un formicolio che ben conosco. La attiro a me e la bacio. Sembra impacciata, imbarazzata. Poi schiude le labbra e mi avvinghia la lingua in un bacio disperato. Con qualche difficoltà la allontano di alcuni centimetri. Il mio sguardo è grave e lei non capisce.

- Virginia, non ero là per un lavoro. Ho fatto fuori io Mimmo e Cosimo.

Un attimo di sgomento. Le si inumidiscono gli occhi, deglutisce. Mi tira uno schiaffo che non voglio evitare. Il suo sguardo è una lama, ma non si scosta. Poi mi stringe e la voce le esce flebile, un sussurro.

- Grazie...

Sento una vampata inondarmi i lombi. La sollevo di peso e lei allaccia le gambe intorno alla mia vita. Un bacio furioso. Mi libero dalla sua stretta e le strappo gli abiti. Due capezzoli turgidi e rosati mi osservano, il respiro accelerato. Slaccio i pantaloni e Virginia si inginocchia afferrando il mio sesso. Lo inghiotte spingendoselo in gola e la luce che percepisco nel suo sguardo è troppo depravata per tenere fede al nome che le hanno dato. Si stacca e si sistema carponi sul tappeto dandomi le spalle, poi con entrambe le mani divarica le natiche e mi offre uno spettacolo che alza la temperatura di una ventina di gradi. Quando si volta, i suoi occhi sono due pietre di fuoco che dannerebbero un santo e la voce arriva diretta dal girone dei pervertiti.

- Scopami. Scopami dietro.

Entro con un colpo secco. L’urlo roco e selvaggio di Virginia mi fa ribollire il sangue. Stringe i pugni arricciando il tappeto e lo morde muggendo mentre le impongo un ritmo da carica di fanteria. L’inconsolabile vedova... Pochi minuti di questo ritmo sfrenato e poi esplodo affondando con forza. Virginia emette un suono a metà fra il ruggito e lo strazio. Mi rialzo e lei si lascia cadere sul tessuto lavorato. Si morde il labbro e mi osserva con sguardo vacuo. La aiuto a rialzarsi e mi bacia teneramente. Si stringe al mio petto, sospira.