“E lei? perché non ha continuato la sua... attività ancora un po’?”
“Tutti i serial killer tirano a farsi prendere, prima o poi. È logico, la sensazione è un gran business... diritti letterari e cinematografici sulle biografie, esclusive giornalistiche, gadget... in America ci sono degli avvocati apposta. E poi la vanità, dico, vuol mettere? ammazzare tanta gente in modo strano e poi non dirlo a nessuno? lo sa quante donne negli Stati Uniti scrivono lettere d’amore ai serial killer pur sapendo che se ci uscissero anche solo una volta non tornerebbero a casa vive? qualcuno si è anche sposato, in carcere, come Kemper, che aveva decapitato i nonni, sei studenti, sua madre e la sua migliore amica... Va be’, c’è anche lo stress che ti ammazza, perché non è un mestiere tutto rose e fiori... molti, in America, confessano delitti in stati in cui c’è la pena di morte, come il povero Bundy, che si è fatto prendere a Miami ed è finito sulla sedia elettrica. È un po’ come una forma di suicidio...”
“Non ha mai pensato a farsi curare?”
“E perché? io sto benone. A parte un piccolo problema morale, che come tutti i piccoli problemi morali prima o poi si supera, mi dica solo un motivo per cui non dovevo buttare delle tegole in testa alla gente, se mi andava. La paura di finire dentro? non mi faccia ridere... non è che la polizia nostra non sia in gamba, per carità... è che non sono abituati. Guardi il pasticcio di Firenze: chiedono ai casellanti di segnare le targhe di tutti uomini soli che entrano in autostrada, per un controllo a tappeto, soltanto al penultimo omicidio. E la perizia psicologica sull’assassino? dicevano che era sicuramente un medico chirurgo alto quasi due metri e di cultura anglosassone e poi sospettano un contadino toscano alto un metro e un tappo che parla solo a bestemmie. Per non parlare dell’ipotesi della setta satanica protetta da un alto magistrato... No, senta, qui la domanda non è perché uccidere, è perché no”.
“Torniamo per un attimo alla storia delle esclusive... quanto vorrebbe per lasciarmi scrivere la sua storia senza...”
L’agente seduto davanti si volta e mi accorgo di avere commesso un errore. “E questo chi cazzo è?” ringhia, mentre quello di fianco al mostro mi prende per la giacca appena dico che sono un giornalista. La macchina inchioda, qualcuno apre la portiera e mi ritrovo seduto sul marciapiede, con una botta all’osso sacro che mi fa venire le lacrime agli occhi. Faccio appena in tempo a vedere la testa di Mario Babini, il Mostro del Ferro da Stiro, che si sporge dal finestrino.
“Che dice, giornalista... ci vado al Maurizio Costanzo Show?”
© 2012 Carlo Lucarelli
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