Il più favoloso dei tesori nazisti è la collezione d’arte del Reichsmarschall Hermann Göring. Il responsabile della Luftwaffe, l’aeronautica militare nazista, a capo del piano economico quadriennale, passò la guerra più a comprare e ad arraffare capolavori che non a combattere.
Il suo mausoleo personale era la residenza che si era fatta costruire nel 1933 allo Schorfheide, nella marca del Brandeburgo, chiamata Carinhall in memoria della bellissima contessa Carin von Fock, prima moglie di Göring. Qui il maresciallo accumulò un patrimonio artistico che nel 1944 egli stesso valutava intorno ai cinquanta milioni di marchi. Molte le opere acquistate legalmente e a prezzi spesso superiori al loro valore. Per esempio Venere e Adone di Rubens «pagato un occhio» a un antiquario parigino. Oppure la partita di quadri Goudstikker, che al contrario si risolse in un affare vantaggioso per Göring. Erano milletrecento opere, alcune di Paul Gauguin, Cranach e del Tintoretto, vendute con l’intermediazione del mercante bavarese Alois Miedl, sposato con un’ebrea che non gli impedì di avere ottimi rapporti con il Reichsmarschall. Parte dei quadri andarono al Führer, per il suo palazzo di Monaco.
Quando le armate del Terzo Reich dilagarono in Europa, si trovarono a disporre delle inestimabili ricchezze artistiche dei Paesi occupati. Hitler aveva due consulenti, i professori Hans Posse e Karl Haberstock, che dovevano decidere le sorti dei beni confiscati. Ma Göring in Francia veniva informato per primo dal suo amico Harold Turner, prefetto civile dell’occupazione a Parigi. Una fedele segretaria, Fraülein Gisela Limberger, compilava inventari delle opere e della loro ubicazione. A fargli da consulente, il maresciallo aveva nominato lo storico d’arte Bruno Lohse, esentandolo dal servizio nell’aeronatica. Con una dotazione di mezzi e denaro liquido - la sua forma preferita di pagamento - Göring, dimentico dello smacco subìto dalla RAF durante la battaglia d’Inghilterra, partiva per quelle che lui stesso definiva «spedizioni di acquisto».
Riuscì così ad accaparrarsi il ricercatissimo dipinto L’uomo dal cappello, di Jan Vermeer van Deft, quadri di Henri Matisse, Amedeo Modigliani, Pierre-Auguste Renoir e Antoine Watteau. L’inglese Don Wilkinson nel 1941 donò al maresciallo un preziosissimo ritratto di Juliana von Stolberg, madre di Guglielmo d’Orange. Un gesto per ringraziare Göring di avergli salvato la moglie dall’internamento un anno prima.
Paradossalmente, e forse con un tocco d’ingiustizia, molti dei tesori del Reichsmarschall vennero restituiti dopo la guerra ai proprietari, senza che però questi rimborsassero le somme incassate.
Alla fine del gennaio 1945, col precipitare degli eventi, treni speciali cominciarono a trasferire i capolavori da Carinhall a Berchtesgaden nell’Obelsalzberg, residenza del Gotha nazista. Göring era restio ad abbandonare il suo paradiso privato. Ma le truppe sovietiche avanzavano nel Brandeburgo e il 20 aprile fu chiaro che la brughiera dello Schorfheide non era più sicura. Il maresciallo partì e il giorno dopo, su sue istruzioni, i componenti della sua divisione corazzata fecero saltare in aria Carinhall. Quando il 7 maggio successivo fu arrestato a Salisburgo insieme alla sua seconda moglie Emmy Sonnemann dal brigadier-generale Robert H. Stack, Göring mormorò: «Dodici anni, dopotutto ne valeva la pena.» Intendeva la durata del Terzo Reich (che secondo Hitler doveva essere millenario). Ma dodici anni erano stati anche il tempo concesso al suo rifugio di Carinhall, i cui tesori testimoniavano di una concezione molto particolare dell’esercizio del potere come estremo mezzo di appagamento dei desideri senza fine di un collezionista.
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