Non pioveva più. Le gocce cadevano dagli alberi sulle foglie strappate dal vento e sparse sul terreno provocando un ritmico ticchettio. Il prato che scendeva nell’avvallamento teatro della strana scena era sparito, inghiottito dalla nebbia. La donna si riscosse, quanto tempo era rimasta lì? Non aveva l’orologio e neppure il cellulare. Faceva buio e si sentiva zuppa e indolenzita, ma la curiosità tornò con la presenza di spirito. Devo aver avuto una specie di svenimento, però non sono caduta a terra. Che sfigata... Odio essere fragile. Un altro incubo? Di giorno non mi era mai capitato. No, non era un sogno, ne sono sicura. Cauta, cercando di fare meno rumore possibile, i piedi che sguazzavano nell’acqua dentro alle scarpe da ginnastica, si diresse verso il prato. Dopo qualche passo scivolò su una pietra viscida e cadde al suolo con un tonfo. Proprio sulla ferita. Le sfuggì un mugolio più di spavento che di dolore, si morse le labbra per non urlare. Non si rialzò, preferì avanzare a quattro zampe per non correre il rischio di cadere di nuovo sull’erba gonfia di pioggia. I suoi movimenti scoordinati le ricordarono quelli dei due contendenti. Non sentiva più il freddo né l’umidità, non si accorgeva di sporcarsi tutta di fango. Riusciva a vedere solo a pochi centimetri dal suo naso. Dove credeva avesse avuto luogo lo strano scontro solo l’erba abbattuta di lato confermava che dei corpi pesanti l’avevano schiacciata di recente. Tastando con la mano incontrò qualcosa: frammenti di vetro. Dopo una breve esitazione li raccolse con cautela e li avvolse in un fazzoletto che infilò nella tasca dei pantaloni.

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